- Il quesito del lettore su Plus24 del 27 maggio 2017.
Sono un 45enne in mobilità che scade tra un anno dopo oltre 20 anni continuativi di lavoro dipendente. Sono single con un patrimonio di immobili di famiglia in locazione da gestire.
Prima di prendere in considerazione fondi pensione aperti per inoccupati, polizze assicurative, piani di investimento flessibili o altro, mi chiedo se non valga la pena di iniziare, alla scadenza della mobilità, a versare all’Inps i contributi volontari? Questo anche per un orizzonte temporale fino a 20-23 anni circa, nella peggiore delle ipotesi che non trovi un altro impiego, oltre alla gestione del patrimonio familiare.
Ovvero, prima ancora di rischiare e scommettere in prima persona e individualmente con banche/assicurazioni e mercati finanziari, con tutti i costi, caricamenti, commissioni e opacità che ne derivano, mi chiedo perchè non puntare innanzitutto sul primo pilastro pubblico.
Anche considerando che (almeno stando a quanto finora ho compreso parlandone direttamente allo sportello Inps), il contributo volontario (oltre a essere interamente deducibile consentendomi di abbattere il reddito degli immobili locati), a seconda delle sopravvenute esigenze, potrebbe essere da me sospeso e poi ripreso senza particolari vincoli, con l’unica conseguenza che il montante contributivo sul quale verrebbe calcolata la pensione pubblica non includerebbe le rate eventualmente non versate (senza perdere nulla di quanto già versato).
Per completezza preciso che, allo stato attuale, la somma di tutti i contributi volontari, da pagare per una durata di circa 20 anni, ammonterebbe al 20/30% della liquidità a mia disposizione.
Inoltre la simulazione della mia pensione mensile all’età di 69 anni, con oltre 40 anni di contributi (tra quelli già maturati — compresi i figurativi — e 20 anni di volontari) è pari a 4mila euro lordi circa.
- L'intervento di Giuseppe Romano
Rispondere alla sua domanda non è semplice perché nel settore della previdenza non è possibile generalizzare ma ogni caso è una storia a sè.
In generale si può dire che è utile versare i contributi volontari all’Inps per colmare i “buchi” contributivi necessari ad andare in pensione: in sostanza per arrivare ai 20 anni di contribuzione che lei pare avere già raggiunto. La contribuzione volontaria può risultare meno conveniente, rispetto ad altre soluzioni, per integrare la pensione, perché la contribuzione volontaria non è particolarmente flessibile: le aliquote sono stabilite dall’Inps per tipologia di lavoratori e in base alle ultime retribuzioni percepite durante il lavoro, ma non tengono conto delle disponibilità del soggetto richiedente.
Forse dunque avrebbe più senso considerare quelle soluzioni alternative di cui lei parla, evidenziandone i difetti, che se non altro però sono più personalizzabili in base al gap pensionistico da colmare.
Come ricorda lei, nella valutazione sulla convenienza dei versamenti volontari, bisogna considerare anche il risparmio fiscale. I contributi volontari rientrano, infatti, tra gli oneri deducibili dal reddito complessivo per l’intero importo. Ci sono però, come già spiegato, anche delle altre considerazioni da fare. «Il lettore ha già raggiunto i 20anni di contribuzione e quindi il requisito minimo per la pensione di vecchiaia», spiega Giuseppe Romano di Consultique. «A maggior ragione se l’importo complessivo del maturato pensionistico a oggi è pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale, ha la possibilità di anticipare la pensione agli attuali 63 anni e 7 mesi. In secondo luogo, essendo “giovane”, dal punto di vista contributivo, non è detto che il lettore non riprenda a lavorare. Infine, a oggi, non avendo grandi redditi, non so se sfrutterebbe tutta la deducibilità fiscale con aliquota marginale Irpef alta».
Il consiglio dunque è di gestire bene i suoi risparmi direttamente o con strumenti ad hoc scegliendo le soluzioni più efficienti (con un occhio ai costi d’ingresso e di gestione) e ai risultati dei gestori, guardando non solo alla performance, ma anche alla volatilità e al confronto con i benchmark. Sui fondi pensione e Pip, alimentabili anche da disoccupati, vi sono comunque deduzioni fiscali fino a un massimo di 5.164,57 euro l’anno.
Infine forse andrebbero valutati gli effettivi ritorni ottenuti dal patrimonio immobiliare al netto degli oneri fiscali e di manutenzione.
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