Le attese di utili boom sostengono settori con prezzi già alti. Ma non mancano casi limite, da Beyond Meat a Tesla
La voglia di sbranare il futuro che spesso contraddistingue chi investe in Borsa a volte può scontrarsi con bocconi difficili da digerire. Sembra il caso di Beyond Meat, l’azienda di Los Angeles che produce hamburger che «sembrano, si cuociono e soddisfano come la carne di manzo» e invece no, sono fatti di ingredienti interamente vegetali, «senza Ogm, soia o glutine», dice lo slogan. Beyond Meat capitalizza 7 miliardi di dollari, anche se per l’intero 2019 prevede ricavi contenuti, 240 milioni. Quel che seduce è la crescita (+253% nei primi nove mesi del 2019), ed è lì che guarda il mercato: se si calcola uno dei valori considerati per capire se un titolo è “caro” o “a buon mercato”, il rapporto fra prezzo e utili attesi, Beyond Meat arriva a tremila volte. Tanta roba: la media di tutte le azioni che compongono l’indice S&P 500 di Wall Street è pari soltanto a 21,6 volte, valore peraltro abbastanza alto rispetto agli anni più recenti.
ACCELERAZIONE MADE IN USA
Gli hamburger fake non sono l’unico caso che mostra la voglia di imbroccare le novità vincenti. A Wall Street la liquidità riversata sui mercati in questi anni ha fatto volare le aziende che spopolano nelle tendenze, Tesla (capitalizza ormai 116 miliardi di dollari), Snapchat, Spotify, ma che al momento presentano bilanci in rosso. Quel 21,6 volte del rapporto medio tra prezzo e utile dei 500 principali titoli è stato superato solo brevemente a inizio 2018, quando si spinse oltre quota 23. Adesso siamo sopra la media degli ultimi 25 anni (18,8). Se si guardasse solo questo, dunque, bisognerebbe vendere le azioni USA e puntare sull’Europa, dove i 600 titoli dell’indice Msci Europe costano meno: il rapporto medio prezzo/utili è infatti a 19,9 volte. «Occorre però fare molta attenzione a decidere il timing degli investimenti solo sulla base di questo fattore», dice Andrea Cattapan, l’analista della società di consulenza finanziaria indipendente Consultique SCF che ha elaborato i dati per Affari&Finanza: «Prima di tutto occorre considerare che altre tipologie di investimenti, come potrebbero essere le obbligazioni, in questo momento offrono bassi rendimenti. Secondo: se è vero che un’ulteriore accelerazione dei prezzi spingerebbe le azioni a valutazioni eccessive, come già è capitato nel 2018 il mercato approfitterebbe dell’occasione per riportare i prezzi a livelli più abbordabili, senza che questo si traduca per forza in una recessione dell’economia».
Cattapan sottolinea che a Wall Street i prezzi rispecchiano le aspettative sull’andamento dei profitti delle società quotate: nel triennio 2020-2022 ci si attende che per le società S&P 500 crescano a un tasso annualizzato del 13%, il doppio degli ultimi 25 anni. Inoltre, la redditività rispetto al patrimonio netto è elevata, il 15,2% (l’indicatore si chiama ROE). Anche in Europa i profitti dovrebbero recuperare in maniera consistente, crescendo nel triennio 2020-2021 del 17,2% annuo; tuttavia le aziende del Vecchio Continente negli ultimi anni non hanno visto la fiammata dei profitti delle americane, e così partono da un ritorno molto più basso, il 10,9% (ROE). In quest’ottica non bisogna necessariamente farsi tentare nemmeno dai prezzi contenuti delle aziende asiatiche – non giapponesi – incluse nell’indice Msci Asia Pacific: qui siamo a 16,6 volte, ma nel triennio gli analisti si aspettano che i profitti crescano a un tasso annualizzato pari “solo” al 9,9%.
IL CONSIGLIO DI CONSULTIQUE
Rimanendo laggiù, è ovvio che andranno valutate le conseguenze della diffusione del Coronavirus, che sta colpendo in primis proprio l’area asiatica. La sensazione è che il contraccolpo possa essere forte e rapido, son evidenti correzioni in Borsa, evento che, dice Cattapan, «potrebbe rappresentare un buon punto per fare acquisti selezionati, in ottica di medio lungo periodo». Consultique ha elaborato i dati anche a livello di settori. Gli indici considerati sono gli Msci World Index. Manco a dirlo il rapporto prezzi-utili più alto (29,2 volte) è nell’Information technology, che comprende colossi some Apple e Microsoft. Anche il più economico è facile da indovinare: il Finance (13,2 volte), dove pesano le fatiche delle banche. Anche qui vendere i primi per puntare sui secondi non è necessariamente una buona idea, viste le diverse aspettative sull’aumento dei profitti nel prossimo triennio (più 16,9% contro più 10%). Il messaggio di Consultique è questo: «È certamente importante cercare di posizionarsi sui trend economici più rilevanti. Allo stesso tempo, però, dato che indovinare non è facile – dice Cattapan – il consiglio è scegliere la quota che si vuole investire sull’azionario e mettere la parte più consistente su un indice diversificato. Quel che resta può essere investito in maniera più selettiva, cercando di cogliere i fattori più determinanti per la crescita globale».
02/03/2020