Uno studio di Vanguard Research boccia il sistema prevalente in Italia
Tutti i motivi per dire addio alle retrocessioni nella distribuzione dei prodotti finanziari senza rimpianti. A esporli è un documento di Vanguard research dal titolo: «12 Myths about inducements». Davvero il modello delle retrocessioni delle case prodotto ai consulenti finanziari è giunto al capolinea? Il dibattito è acceso a partire dalle fasi di elaborazione della Mifid2. E anche di recente la Commissione Ue ha avanzato l’ipotesi di un passaggio generalizzato al modello fee only, in cui la consulenza sia solo pagata direttamente dal cliente. Anche se la stessa Esma, l’authority europea di settore, ha avvertito la Commissione di considerare le diverse strutture dei mercati locali, incardinate in qualche caso, come in Italia, sulle retrocessioni (o inducements). Siccome entro la prima metà di quest’anno la Ue varerà la Retail Investment Strategy, questo tema è destinato ad accendersi nei prossimi mesi.
Proprio a tale appuntamento guardano da Vanguard, il cui documento ha alcuni assunti centrali, che derivano dall’osservazione delle conseguenze dell’eliminazione degli inducements in Uk e Olanda, che indicano, secondo l’ampia documentazione dello studio: uno spostamento da prodotti costosi a prodotti meno costosi, una maggiore concorrenza con più ampia offerta di prodotti, un incremento della consulenza automatizzata per la fascia di clientela “piccola” meno seguita dagli operatori, un aumento del livello della preparazione dei consulenti, un aumento della consapevolezza del risparmiatore.
Spiega infatti Simone Rosti, country head di Vanguard in Italia: «È importante garantire che gli investitori alla ricerca di consulenza finanziaria abbiano accesso a un mercato aperto e competitivo, libero da potenziali conflitti di interesse e in grado di fornire risultati incentrati sull’investitore. Abbiamo bisogno di un sistema in cui i consumatori non si preoccupino del rischio di essere esposti a consulenza in conflitto, a una scelta limitata di prodotti e a costi elevati. La Retail Investment Strategy offre la rara opportunità per l’Unione europea di stimolare un regime che incoraggi le persone a risparmiare per il proprio futuro a lungo termine, riduca le barriere agli investimenti e garantisca che gli investitori abbiano accesso a un trattamento equo. Crediamo che il divieto alla prassi commerciale basata sugli incentivi sia il modo migliore per assicurare agli investitori retail una consulenza imparziale». E anche un consulente indipendente italiano, Andrea Zanella, segnala: «Una normativa come quella inglese e olandese potrebbe essere davvero il catalizzatore per innalzare la conoscenza finanziaria degli italiani. Solo una normativa così forte renderebbe coscienti la maggior parte degli italiani che investire comporta un costo e sappiamo che quando una cosa non è gratis, come molti pensano ancora sia la consulenza bancaria e quella di tante reti, si può cominciare a pretendere e si comincia a fare dei confronti e a informarsi. Solo con la trasparenza si può pensare che l’asimmetria informativa presente in finanza possa diminuire».
Intanto seguiamo gli argomenti di Vanguard (i punti dello studio con la prima parte della spiegazione sono riportati nella scheda in pagina). Partendo dai conflitti di interessi, per cui i consulenti sarebbero più inclini a proporre prodotti “incentivati”. Ebbene Vanguard cita una «valutazione della Federazione tedesca delle organizzazioni dei consumatori (VZBV) condotta tra novembre 2014 e ottobre 2015 ha rilevato che il 45% dei prodotti venduti dai consumatori era inappropriato per l’investitore e che alternative più convenienti e flessibili sarebbero state più adatte. I prodotti erano o troppo costosi (52%), troppo rigidi (34%) o troppo rischiosi (26%). VZBV ha inoltre valutato 362 nuove offerte di prodotti e ha riscontrato che il 95% di queste non rispondeva alle esigenze e agli interessi dei consumatori». Mentre la prova contraria è offerta dal fatto che le autorità britanniche, nel valutare gli effetti della Retail Distribution Review (Rdr, che ha significato il passaggio al modello fee only, ndr) «ha rilevato che il divieto di commissioni di terzi in relazione ai prodotti di investimento al dettaglio ha portato a un calo significativo della vendita di prodotti che pagavano commissioni più elevate e un aumento della vendita di prodotti di investimento al dettaglio che hanno pagato commissioni inferiori o nulle».
Certo che il cambiamento comporterebbe un terremoto nell’organizzazione dei modelli di distribuzione come quelli che in Italia sono basati essenzialmente sulle retrocessioni. Ma il bilancio dei Paesi dove è stato eliminato il sistema delle retrocessioni, per Vanguard è decisamente positivo, anche per gli stessi consulenti finanziari. Secondo Vanguard «l’esperienza del Regno Unito mostra che il numero di società di consulenza sul mercato è rimasto relativamente stabile da quando è stato introdotto il divieto di incentivi. In realtà, il numero dei consulenti finanziari è leggermente aumentato, passando da 5.218 imprese nel 2015 a 5.236 nel 2019».
Altri due aspetti importanti a cui è il caso di accennare è che il rischio che un divieto di incentivi comporterebbe una lacuna nella consulenza. Certo come avvenuto in Uk (e segnalato dalle associazioni italiane di settore) ci sarebbe un incremento del robo advisoring, ma non sembra una dato preoccupante per Vanguard. Inoltre il documento contesta che gli incentivi consentano ai distributori di rendere disponibile una gamma più ampia di prodotti. Ma anche qui viene in aiuto l’esempio olandese: «Una volta introdotto nei Paesi Bassi il divieto delle vendite su commissione, la concorrenza tra i produttori di prodotti è effettivamente aumentata. Allo stesso tempo, i prezzi dei fondi sono diminuiti di circa il 50%, in gran parte a causa del fatto che i prodotti di investimento passivi erano più facilmente disponibili per gli investitori al dettaglio».
Antonio Criscione