Gli indici azionari di Mosca hanno perso oltre il 50% dai massimi dell’ottobre scorso. Fondi e Etf specializzati non negoziabili.
Chi ha investito in azioni e in obbligazioni russe ha un capitale immobilizzato e con un valore indefinito (e lo stesso vale per la perdita potenziale). Il Rublo, infatti, è crollato contro tutte le valute e la Borsa di Mosca è ferma dal 25 febbraio, il giorno successivo all’invasione dell’Ucraina. Chi avesse comprato azioni avrebbe titoli illiquidi, che non si possono negoziare e non hanno una quotazione di mercato; le obbligazioni, invece, potrebbero non essere rimborsate. Per qualche giorno le società quotate in altre Piazze tramite dei certificati rappresentativi delle azioni hanno avuto una valorizzazione teorica; poi neppure quella, per l’impossibilità di determinare un prezzo realistico. L’economia russa, infatti, rischia il fallimento, con le sanzioni che hanno bloccato la circolazione dei rubli e dei capitali al di fuori dei confini.
Msci e Ftse, che elaborano indici sulle attività finanziarie, hanno deciso di escludere le azioni di aziende russe non appena gli operatori hanno confermato che non riuscivano a scambiarle. Così le hanno valorizzate a zero e hanno proseguito nella redazione del valore degli indici senza quelle azioni. Come spiega l’articolo in basso, le possibilità dell’investitore di rientrare in possesso dei capitali investiti in Russia o nei mercati emergenti e di quantificarli dipende dal tipo di strumento: un fondo, un ETf, un singolo titolo ecc.
Generalmente, i risparmiatori privati comprano attività finanziarie russe attraverso fondi, Etf o strumenti del risparmio gestiti da professionisti. La regola della diversificazione prudente, poi, vorrebbe che l’esposizione in portafoglio sia limitata, come quella ad altri mercati che espongono a forti rischi valutari, economici o politici. Sfortunatamente, nell’ultimo anno la Borsa di Mosca potrebbe aver attratto compratori, grazie alle prospettive di crescita globale che hanno spinto le materie prime e le numerose aziende del settore del listino di Mosca. Dall’ottobre 2020, quando si puntava alla ripresa grazie al vaccino anti-coronavirus, all’ottobre 2021, prima che si iniziasse a temere l’inflazione, l’indice azionario di Mosca in dollari aveva guadagnato l’80%, quello in rubli il 40%. Da allora, entrambi hanno perso oltre il 50%.
Le società di gestione del risparmio che hanno strumenti specializzati sulla Russia o sui mercati dell’Est hanno avvisato che la negoziazione delle quote è sospesa a tutela degli stessi sottoscrittori. Bisogna (soltanto) aspettare.
«I fondi comuni che detengono titoli russi - precisa Rocco Probo, analista di Consultique - decideranno se vendere o meno quando riaprirà la Borsa russa, ma non hanno l’obbligo di replicare fedelmente un indice. Invece gli Etf (i fondi passivi quotati) devono seguire il più possibile da vicino l’andamento del benchmark, l’indice di riferimento.
Per esempio, un Etf sull’Msci Emerging Market avrebbe dovuto vendere i titoli russi per rispettare il suo mandato. Tecnicamente, però, la vendita non è possibile perché la borsa russa è chiusa e il Governo del Cremlino l’ha vietata ai cittadini non russi. Quindi, l’Etf avrebbe in patrimonio titoli non inclusi negli indici e che minerebbero la capacità di copiare l’andamento del mercato di riferimento, seppure solo per una parte del portafoglio».
Il peso delle azioni russe, infatti, è drasticamente diminuito nel tempo. Msci precisa che nel 2008, prima della crisi finanziaria, la Russia era la quarta potenza mondiale e pesava più del 10% nell’Msci mercati emergenti. Poi la sua importanza è calata fino al 4%, anche per gli anni di sanzioni che hanno generato un forte deprezzamento valutario. Ora, con l’attacco all’Ucraina e i suoi effetti finanziari ed economici, la Russia sta lasciando il posto alla Cina, a Taiwan e all’India nei principali indici emergenti.
Marzia Redaelli