Non è passato troppo tempo da quando a Verona si parlava di dar vita a un Polo finanziario che forse era un’avventura immobiliare, ma voleva anche dare forza e consistenza a un’immagine che sembrava realistica: accreditare la città, il territorio e l’economia come il secondo polo italiano di attrazione per i capitali dopo Milano. La Banca Popolare e la Fondazione Cariverona più Cattolica Assicurazioni: nel progetto c’erano tutti i principali protagonisti del sogno di portare Verona nel gotha delle capitali finanziarie italiane – magari europee – partendo dall’area davanti a VeronaFiere. Ma non è andata a finire benissimo. Una ferita che brucia ancora, o almeno dovrebbe.
Da allora i cittadini veronesi hanno visto sbiadire molte illusioni, insieme alla montagna di risparmi che avevano affidato ai grandi nomi di cui si fidavano, e di cui in parte ancora si fidano. Ma in tempi di Covid, con una disoccupazione che cresce, le aziende che stentano a rialzarsi, il commercio e il turismo messi ancora peggio, il disavanzo di queste illusioni andate a male rischia di costare caro. Dove possiamo mettere i nostri risparmi? I patrimoni messi da parte per la pensione, per le difficoltà, per far studiare i ragazzi o viziare i nipotini? Ma soprattutto: alla fine cosa rimarrà in quei forzieri per il territorio?
Lo abbiamo chiesto a Consultique SCF, società veronese leader italiana nell’analisi e consulenza finanziaria indipendente che fornisce al Sole 24 Ore dati e rating dal 2005. Fondata nel 2001 da Cesare Armellini, che la presiede, non è legata (né collegata) a gruppi bancari e viene remunerata esclusivamente dai clienti come un avvocato o un commercialista. Offre analisi, ricerche e pianificazione patrimoniale a privati, aziende e investitori istituzionali. È tra i fondatori delle associazioni dei professionisti e delle società del settore, Nafop e Assoscf. Ed è con queste competenze che ci ha spiegato le vicende finanziarie veronesi.
L’esame di un “portafoglio tipo” dei risparmiatori veronesi nella stragrande parte dei casi porta inevitabilmente a vedere delle posizioni azionarie sia del Banco BPM che di Cattolica Assicurazioni. Questo comunque accade anche in altri capoluoghi veneti, come Padova e Vicenza, nei confronti delle ex banche popolari locali. “C’è uno storico legame tra finanza e territorio, caratterizzato dalla fiducia che i risparmiatori ripongono non solo e non tanto nel concetto di investimento finanziario, ma piuttosto nei confronti di quelle istituzioni che apparivano solide e sicure”, spiega Andrea Cattapan, analista di Consultique. “Tanto da rappresentare il luogo nel quale riporre i propri risparmi e i propri progetti futuri, vista la profondità delle radici di questi soggetti nel territorio. Essere socio del Banco o di Cattolica era così anche un modo per partecipare alla vita sociale della città, facendo sentire la propria voce nelle assemblee”.
10MILA € INVESTITI IN AZIONI DEL BANCO NEL 2008 OGGI NE VALGONO APPENA 300, TENENDO CONTO DEI DIVIDENDI E DEGLI AUMENTI DI CAPITALE
Sono soprattutto due le caratteristiche in comune tra Banco BPM e Cattolica Assicurazioni: il primo riguarda il modo con cui le società hanno attraversato le turbolente fasi degli ultimi anni di mercato, mentre la seconda è invece la resilienza manifestata dal “Dna veronese” di questi intermediari nei rispettivi settori bancario e assicurativo. Banco BPM, come gli altri titoli istituti italiani, ha attraversato negli ultimi dodici anni, sconquassi che nel mondo finanziario di matrice bancaria sono stati enormi: il post fallimento Lehman Brothers, la crisi del debito italiano o la debacle delle banche popolari venete così vicine, ma anche la stessa entrata in vigore dell’Unione Bancaria europea e, infine, l’avanzata della rivoluzione fintech.
“Gli esiti si sono rivelati economicamente disastrosi, con i titoli delle banche italiane crollati, dopo il 2008, di percentuali dal 50% al 99,9%, come in alcuni drammatici casi, con pochissimi istituti in grado di reggere gli urti susseguitisi nel tempo. Nello specifico un azionista veronese del Banco, dal 2008 in poi, si sarebbe visto ridurre un investimento di 10 mila euro a non più di 300 attuali, anche tenendo conto di tutti gli aumenti di capitale avvenuti nel tempo e dei dividendi. Ad impattare sui conti Lehman e la crisi del debito e dell’economia italiana, con conseguenze come la grave criticità dei crediti deteriorati, oltre a un contesto operativo”, sottolinea Cattapan “che ha visto progressivamente crollare i tassi di interesse e la rapida avanzata della tecnologia che ha di fatto trasformato le banche in soggetti da very old economy”.
GLI STESSI 10 MILA EURO INVESTITI IN CATTOLICA NEL 2008 SI SAREBBERO OGGI RIDOTTI A SOLO 3.700, TENENDO CONTO DELLE BUONE CEDOLE EROGATE
Nel corso degli stessi anni è andata meglio (in verità solo un po’) per Cattolica Assicurazioni, anche se i risparmiatori veronesi non possono certamente dirsi soddisfatti. Gli stessi 10 mila euro investiti nel 2008 si sarebbero oggi ridotti a solo 3.700, anche tenendo conto delle buone cedole erogate nel tempo dalla società di Lungadige Cangrande. Anche in questo caso ha impattato in modo significativo sull’andamento il rischio Paese, così come l’erodersi dei margini del settore e la netta diminuzione del trend di crescita degli utili. “Due mondi, quelli del Banco e di Cattolica, che hanno accarezzato talvolta l’ipotesi di una fusione che potesse creare un grande e competitivo conglomerato nell’area della bancassurance, che affondasse le radici nel tessuto veronese. In realtà”, conclude Cattapan, “come vedremo più in dettaglio, la storia e le cronache di attualità hanno portato e stanno portando verso un altro destino finanziario”.
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BANCO E CATTOLICA: ECCO COME SIAMO SCOMPARSI DALLA FINANZA
(s.t.) Dicevamo nella prima parte di questa analisi sul risparmio veronese che il Banco e Cattolica avevano a tratti ipotizzato una fusione che potesse creare una società attiva nel settore della bancassurance, a partire da comuni radici nel tessuto locale, per puntare a un’entità competitiva e di grandi dimensioni. La ricostruzione che abbiamo chiesto a Consultique, società indipendente di analisi e consulenza finanziaria, ci mostra che non è andata così. Ecco, quindi, il secondo elemento in comune tra i due soggetti, che gradualmente nel tempo hanno trascurato (diciamo abbandonato) i loro legami con la città e con soci e investitori. Ripartiamo qui dal Banco, che all’inizio ha seguito una strategia di crescita per acquisizioni (Lodi e Novara), assumendo un profilo attivo fino alla fusione quasi inter pares con la Popolare di Milano.
Ma prima l’entrata in vigore dell’Unione Bancaria europea, poi la volontà del legislatore di porre sotto stretta vigilanza gli istituti di credito dell’Eurozona (anche attraverso le varie normative sul bail-in), hanno nettamente cambiato lo scenario del risiko bancario italiano. Se nel corso di un 2020 caratterizzato dalla pandemia globale è avvenuta l’acquisizione del quarto gruppo bancario italiano (UBI) da parte del primo (Intesa Sanpaolo), significa che ormai si sta correndo verso una direzione ben precisa. Eccola. Le banche dell’Eurozona devono aggregarsi il più possibile, mentre le più piccole devono trovare un metodo per unirsi tra loro, sperando magari di mantenere un certo grado di autonomia e di legame col territorio. Oppure devono prepararsi a diventare preda di soggetti più grandi. Tutto questo per garantire una migliore tenuta sia della singola banca che dell’architettura finanziaria di sistema.
“Banco BPM si trova adesso nella condizione di dover decidere dove stare: le ipotesi di aggregazione portano con discreta probabilità verso scenari esteri di matrice francese o a una fusione con soggetti simili per capitalizzazione”, chiarisce Andrea Cattapan di Consultique. “Con le quotazioni di borsa via via sempre più sacrificate (oggi la banca capitalizza appena 2,94 miliardi di euro, pari al 20% dei mezzi propri), nel quadro di fusioni o acquisizioni il momento appare più propizio per chi compra. E stavolta per il Banco sarebbe un passo ancor più deciso verso la perdita della connotazione veneta e veronese”.
Sono sicuramente più recenti, invece, i passaggi che hanno portato a sbiadire il Dna scaligero di Cattolica Assicurazioni che, come capitalizzazione di borsa, evidenzia un valore più basso del Banco, che varia dagli 875 milioni riportati da Borsa Italiana agli 1,14 miliardi segnalati da Bloomberg (a seconda dei vari perimetri di calcolo. Il 2020 è stato un anno di svolta per la compagnia, che negli ultimi anni ha visto l’acuirsi della forte lotta ai vertici anche in termini di struttura sociale. E proprio la natura cooperativa contrasta da sempre con la crescente spinta dei mercati di vederla diventare una Spa, per garantire una miglior trasparenza e governance. “Il recente ingresso nel capitale di Cattolica di un gigante come Generali viaggia in parallelo con quanto abbiamo visto per le piccole banche: consolidare qualche conto che mostra crepe, aggregandosi con un soggetto ben più capitalizzato e solido, soddisfacendo così le volontà dei regolatori del mondo assicurativo. Il che comporta rinunciare alla propria indipendenza. Il 2020 di fatto sarà l’ultimo anno in cui la veronese Cattolica si presenterà come soggetto pienamente autonomo. La prospettiva d’ora in poi sarà ricevere da Trieste gli indirizzi economici (e operativi)”, dice Cattapan.
In questi anni l’avanzata della globalizzazione sui mercati finanziari ha portato alla fine o alla riduzione di peso delle realtà locali, nate in origine per dare un sostegno al territorio tramite l’attività di erogazione di credito e di servizi. Un connubio che per forza si interromperà o dovrà trovare canali alternativi. Ma dal punto di vista dell’investitore sono processi obbligati che ancora una volta dimostrano quanto i bias di investimento possano nuocere a chi investe.
Il portafoglio del risparmio veronese è stato spesso incentrato (in percentuali bulgare e con “mediazioni” progressive nel tempo) proprio sui più importanti titoli locali quotati in borsa. E le cose sono andate bene, almeno fino al 2007. Ma la prospettiva dei risparmiatori deve estendersi, e diversificare è il criterio primario per evitare che scenari avversi mettano in discussione – o addirittura ridimensionino – il capitale investito”, sintetizza Cattapan. “Non sono escluse ovviamente presenze nei singoli titoli, che però non devono compromettere gli obiettivi di medio – lungo termine di un investimento azionario”.
“Investire è semplice ma non è facile”, dice Warren Buffett. E se le regole per farlo con efficacia non sono molte, disattenderle significa prendersi dei rischi rilevanti, di cui spesso l’investitore non è neanche consapevole. I 10 mila euro citati in precedenza e investiti ad inizio 2008 oggi sarebbero 8.500 se allocati nei titoli del mercato italiano, ma sarebbero 17 mila se investiti nelle duemila società dell’indice azionario globale MSCI World. Eh sì, le “misure” contano.
Stefano Tenedini
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