Derivati per le Pmi a rischio boomerang
Banche & imprese / Allarme nei bilanci delle piccole società
Aumentanoi contratti Otc per le aziende Sotto la lente le coperture eccessive
Opportunità o minaccia? E’ la domanda che dovrebbe farsi un imprenditore quando entra in banca per acquistare un prodotto derivato.
Da almeno quattro anni, i bilanci di molte piccole aziende riportano contratti per coprire i rischi legati alle variazioni sul mercato di una merce, di una valuta o dei tassi di interesse. A volte, però, la copertura attesa si traduce in una perdita secca in conto economico. Nonostante ciò, i derivati continuano a diffondrsi perchè in tempi di crisi sia le commissioni delle banche che i ricavi delle società tendono ad assottigliarsi. Tant’è che le imprese comprano prodotti complicati che diventano un boomerang per le loro casse. Ma le Pmi hanno veramente bisogno di questi strumenti? “E’ indubbio - afferma Roberto Diodati, consulente finanziario dello Studio Diodati - Palumbaro di Pescara - che, in fasi di ripresa economica, prodotti di copertura contro un rialzo dei tassi siano utili alle Pmi: l’importante è capire le esigenze dell’azienda”.
Quando l’imprenditore chiede un affidamento bancario, capita che gli venga, offerta anche una copertura sul debito: alla scadenza del contratto, e in condizioni di mercato avverse, il cliente può subire perdite rilevanti. Per cercare di riparare, poi, acquista un altro derivato. Che spesso peggiora le cose.
Fino a poco tempo fa, inoltre, mancava un’informativa adeguata sulla rischiosità dei prodotti: “Soprattutto nei contratti stipulati non di recente - ricorda Giuseppe Romano, dell’Ufficio Studi Consultique - spesso si evidenziano vizi di forma, come ad esempio un’adeguata mancanza di comunicazione sui rischi dello strumento, tali da renderli nulli o annullabili. Ora - continua Romano - la situazione è migliorata: nei contratti è sempre più presente il prospetto sui rischi”.
Non mancano, però, le denunce. “Nel torinese ci sono casi potenzialmente esplosivi - rivela Viviana Buoninconti, avvocato dello Studio Ferreri e Associati - , seguiamo alcune aziende con caratteristiche simili. Stessi contratti e stesse modalità: riteniamo che ci siano state interpretazioni illegittime del regolamento Consob”. In sintesi, la delibera Consob (numero 11522/98, articolo 31) definisce la figura dell’operatore qualificato a sottoscrivere un contratto derivato: ”Una decina di nostri clienti - continua Buoninconti - ha firmato contratti viziati dalla malafede dell’intermediario, che ha violato una serie di obblighi. Senza fornire le informazioni che il testo unico dell’intermediazione finanziaria e la Consob impongono, la banca ha convinto clienti di lunga data a firmare una dichiarazione in cui ammettevano di essere operatori qualificati, pur non avendone i requisiti”.
Al di là delle questioni legali, c’è da dire che l’offerta è ancora troppo standardizzata: manca una segmentazione di prodotto, sebbene alcuni istituti di credito (come Unicredit Banca d’Impresa) abbiano iniziato a rivedere le propostecommerciali. In ogni caso, esistono situazioni paradossali: “Non mi risulta - precisa Diodati - che le banche facciano un’attenta analisi dello stato patrimoniale: ci sono aziende con una copertura tassi fino a 15 volte superiore alle posizioni debitorie di medio-lungo periodo”.
Non solo: l’eventuale applicazione dei criteri Ias 39 sulla contabilizzazione delle operazioni di copertura al valore di mercato potrebbe provocare altri problemi alle banche. “In teoria - continua Diodati - ci potrbbe essere il rischio di ricorsi a valanga se tutti i prodotti che oggi generano perdite venissero iscritti in bilancio. Per l’impresa il problema non è irrilevante: un bilancio può diventare pessimo per operazioni che sono nate per ridurre i rischi dell’attività tipica”.
pagina a cura di Lanfranco Olivieri
Allo sportello / Parola d’ordine “fidelizzare”
Ma prima serve più consulenza
Le banche non hanno dubbi: i prodotti derivati fidelizzano i clienti e, se ben costruiti, soddisfano le loro esigenze. Per quanto riguarda i margini, in valore assoluto sono di tutto rispetto. “Alla chiusura di una posizione in derivati - dicono alla Monte dei Paschi - si possono fare utili interessanti. Ma attenzione: se il prodotto è di copertura (come un semplice contratto swap a tasso fisso su un debito a tasso variabile, ndr) la media delle medie degli utili generali tende allo zero. e per il cliente non esiste rischio inatteso”. Anche i costi sono accettabili. Le banche si servono delle filiali per avere il primo contatto con il cliente; successivamente entrano in azione i “laboratori” che preparano una proposta su un piano di ammontamento predeterminato. Quando, poi, il derivato viene venduto con un mutuo, emerge un costo della linea di credito: “Ogni nostro prodotto, che non sia un’opzione, èpreceduto da un prestito - affermano in Mps - che per sua naturaincorpora un rischio e quindi un costo. Di certo, un derivato costa meno di un semplice affidamento”.
Anche in Banca Intesa sottolineano i vantaggi di questi strumenti: “I profitti in percentuale non sono stratosferici - afferma Fabio Bolognini, responsabile marketing imprese di Banca Intesa - : comunque è innegabile che il business dei derivati faccia su un rapporto rischio/ rendimento moolto favorevole”. Ma non mancano le critiche. “Non tutti gli operatori - continua Bolognini - sono stati attenti nel gestire una relazione continua col cliente, che poteva essere aggiornato ogni mese sull’andamento dei tassi e quindi sulla sua posizione in derivati”. Tassi che, prima del recente intervento della Fed, erano scesi per un periodo prolungato procurando differenziali negativi a chi aveva ipotizzato un lungo rialzo. “L’andamento dei mercati ha pesato parecchio - ammette bolognini - ma l’imprenditore deve essere sempre avvisato per tempo: in molti casi, avrebbe potuto decidere di interrompere l’operazione, al raggiungimento di un livello di perdita sopportabile per l’azienda”.
Prodotti ai raggi X / Uno swap che costa caro al cliente
Quando l’imprenditore non fa un buon affare
Lo scambio tra Euribor e Libor Chf aggiunge costi
Il fatto è realmente accaduto. Un’azienda credeva di aver sottoscritto una copertura a tasso fisso su un debito a tasso variabile, ma il contratto era un Irs (interest rate swap) della durata di 5 anni per un importo di 10 milioni di euro, che scambiava l’Euribor a 3 mesi per un Libor Chf con un 5% di costo massimo sostenibile.
In sostanza, l’impresa ha deciso di scambiare un tasso variabile contro un altro tasso variabile: pagandone le conseguenze. Grazie a un’analisi realizzata dallo Studio Diodati-Palumbaro, è possibile proiettare sulle curve forward (attese odierne sul futuro andamento dei tassi) l’intero periodo di vita della copertura.
Ebbene (come è descritto sopra in tabella) la probabilità maggiore è che l’imprenditore vada a incassare le prime due scadenze (07/10/04-07/01/05) e paghi tutte le restanti (dal 07/04/05 al 07/07/09).
Insomma, un errore costato caro al cliente, ma che ha reso felice la banca.