Senza mercato 3,5 miliardi di subordinati
Centoventi obbligazioni emesse su 366 sono illiquide, ovvero negoziabili solo allo sportello. La banca decide se riacquistarle e quando. Controllate se i rendimenti sono alti: il gioco deve valere la candela. Perché in caso di bail-in sono le prime a saltare.
Il flop di Etruria è ancora caldo sulla pelle dei risparmiatori, ma l’opinione pubblica sul tema si sta raffreddando. Ci siamo così messi a fare la mappa di tutte le obbligazioni subordinate delle banche italiane. La maggior parte sono quotate e facilmente vendibili, ma abbiamo scoperto che una buona fetta (un terzo) è di fatto non scambiabile. In gergo tecnico si dice illiquida. Basta guardare la tabella che domina queste due pagine. In Italia ci sono infatti 3,5 miliardi di euro (1,84 miliardi è l’ammontare in essere, la differenza è dunque stata rimborsata) di subordinati che si possono comprare solo allo sportello. Soprattutto si possono vendere solo allo sportello. E nel caso in cui l’istituto decida di farlo. Non sempre il prospetto lo prevede e in molti casi le condizioni sono estremamente vincolanti. Detto in parole povere, questi bond non hanno mercato, se non quello delle banche che ne decidono dunque il prezzo di vendita. Ciò significa che chi compra non ha modo di conoscerne il prezzo se non andando in banca tutti i giorni. E se un giorno arrivassero brutte notizie, rischierebbe di rimanere con le obbligazioni in tasca. All’inizio della settimana, su questo tema, la Consob ha lanciato un nuovo alert. L’idea è lanciare consultazioni per rimodulare la distribuzione degli «strumenti finanziari attraverso la quotazione diretta sui mercati regolamentati o su sistemi multilaterali di negoziazione, anziché attraverso il tradizionale collocamento presso gli sportelli». In sostanza la Consob dovrebbe cominciare a creare nuove regole proprio da questi 3,5 miliardi di emissioni. «Il rischio di strumenti finanziari illiquidi», spiega a Libero Matteo Trotta, vice direttore dell’ufficio studi di Consultique, «sta nel fatto che esiste una sola controparte e il mercato non ne fa il prezzo. Inoltre, in caso di situazione critica non è detto che la banca sia in grado di riacquistarli. Per questo sarebbe meglio dedicare i subordinati illiquidi solo agli investitori professionali». Già oggi, in diversi casi la soglia minima è di 50 o 100mila euro. E quindi solo per investitori smaliziati. Che sanno cosa su cosa scommettere. Per questo i rendimenti delle 120 emissioni che abbiamo tracciato in tabella dovrebbero essere alti. Spesso invece sono paragonabili a quelle dei Btp. Un po' poco. Nessun allarme, però. Anche se non scambiati in Borsa i prodotti non sono automaticamente rischiosi, se non meno comprensibili ai comuni risparmiatori. Un problema non da poco se si considera che stiamo parlando di 120 su 366 prodotti disponibili sul mercato italiano. Insomma il tema non si può lasciare cadere. Concordano anche le associazioni di categoria. «Le discrasie si sono venute a formare dopo che in Italia è stato adottato il bail-in a livello europeo senza adattarlo al sistema italiano», spiega Corrado Sforza Fogliani, presidente dell’associazione delle banche popolari. «Sarebbe stato meglio», sottolinea il presidente, «introdurre le norme Ue adattandole al nostro Paese. Invece il governo ha pensato solo a soddisfare le richieste della Ue in cambio di un ok sulla legge di stabilità». Creando - sostiene Sforza Fogliani - un problema che di per sé non ha alcun sottostante problematico. Tra le obbligazioni subordinate non quotate, molte sono emesse dalle Bcc, che tra l'altro la prossima settimana lanceranno un fondo obbligatorio a carattere temporaneo per gestire le crisi e favorire le aggregazioni in attesa della piena attuazione della riforma del settore. «L’emissione di bond subordinati delle Bcc è in grandissima parte destinata a investitori istituzionali, in prevalenza interni al sistema delle Bcc», evidenzia Roberto Di Salvo, vice direttore generale di Federcasse, l'associazione nazionale delle banche di credito cooperativo e casse rurali. «Un cliente non informato non dovrebbe essere destinatario di offerte di questo tipo di prodotti, sempre nel rispetto della normativa sulla trasparenza», spiega Di Salvo. «Se qualche operatore bancario lo dovesse fare, infrangerebbe le regole», sottolinea. «Chi si affida a questi prodotti deve valutare il grado di rischio dell’emittente e il rapporto tra rischio e rendimento».