Abolire o rimodulare l’imposta sui rendimenti per spingere la previdenza integrativa. Aumentare il tetto sulle deduzioni
Spingere la previdenza integrativa. La riforma Dini nel 1995 ha sancito il passaggio dal sistema pensionistico retributivo (prendi in percentuale degli ultimi anni di stipendio) a quello contributivo (prendi ciò che hai versato nell’intera vita lavorativa). Più di 20 anni sono passati ma resta la necessità di aumentare gli iscritti alle forme pensionistiche complementare, altrimenti la conseguenza sarà quella di avere pensionati poveri nei prossimi anni. Su una platea potenziale di circa 26 milioni di lavoratori, infatti, il tasso di partecipazione alla previdenza complementare si attesta al 31% a fine settembre 2017, poco più di 8 milioni (fonte Covip).
Le proposte di Plus24
Due le proposte fiscali che mettiamo sul tavolo in tale ambito: la terza è relativa alla «comunicazione» ma la spieghiamo nell’articolo sotto.
La prima proposta è la rimodulazione, fino alla possibile totale abolizione, dell’imposta sul capital gain dei fondi pensione. Attualmente siamo a quota 20% di prelievo annuo, imposta che fino al 2014 era all’11%. «Il fisco è la vera leva per indurre gli italiani ad aderire alla previdenza complementare – spiega Giuseppe Romano, responsabile ufficio studi Consultique –. Si è visto con i Pir che in 12 mesi hanno raccolto 10 miliardi grazie all’abolizione dell’imposta sul capital gain. Se veramente il prossimo Parlamento vuole spingere sui fondi pensione, deve abolire questo prelievo come ha fatto per i Pir». Per la totale eliminazione dell’imposta sul capitale c’è bisogno però di una valutazione sulle coperture finanziarie che a detta degli esperti non sono così onerose.
Light o strong
Ci sono poi le posizioni intermedie. Ovvero seguire l’esempio della maggioranza dei Paesi Ue che hanno sposato il sistema EET ovvero esenzione del prelievo sui contributi, esenzione dell’imposta sui rendimenti annui e tassazione della prestazione alla fine, in uscita dal fondo. Con Danimarca e Svezia, l’Italia è l’unica che tassa anche il capital gain ogni anno (ETT). «È una soluzione light – aggiunge Romano –, il minimo che bisognerebbe fare. In tal modo verrebbe realizzata anche l’equiparazione fra fondi pensione e fondi comuni. Non penso però che, scegliendo tale soluzione, ci sarebbe la corsa all’adesione da parte dei lavoratori italiani». Spostare alla fine la tassazione, consentirebbe però di accumulare più soldi nell’arco della vita lavorativa: un tesoretto più cospicuo da investire nei mercati attraverso i fondi pensione.
Aumentare la deduzione fiscale
La seconda proposta sulla previdenza integrativa è relativa alla deduzione fiscale in dichiarazione dei redditi. Chi aderisce a una forma pensionistica complementare (fondo negoziale, aperto o piano individuale) può dedurre ogni anno dal reddito complessivo i contributi versati fino al limite di 5.164,57 euro. Sono i vecchi 10 milioni di lire, tetto rimasto immutato come si può verificare da prima dell’introduzione dell’euro. L’agevolazione fa diminuire l’imposta che bisogna pagare in base al reddito. Innalzare tale tetto in alternativa o, ancor meglio, in aggiunta alla rimodulazione dell’imposta sul capital gain, darebbe la spinta definitiva alla previdenza integrativa in Italia. Un innalzamento importante soprattutto per le famiglie numerose: la deduzione infatti è per singolo lavoratore e può essere estesa per i familiari a carico.
«Insieme a una più capillare comunicazione, la questione fiscale è un elemento chiave per il rilancio serio dei fondi pensione in Italia – afferma Walter Bottoni, consulente nel settore della finanza sostenibile e della previdenza complementare –. Sono proposte di buon senso che il futuro Parlamento dovrebbe accogliere, se avrà a cuore il futuro pensionistico delle giovani generazioni».
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