Ciò darebbe modo agli Etf provider europei di ampliare l’offerta sul debito cinese, a oggi coperto da un solo emittente e ristretto ai soli bond governativi.
Attualmente, in Cina il rating delle obbligazioni emesse dalle aziende cinesi viene calcolato da una serie di agenzie domestiche autorizzate dalla People’s Bank of China, ovvero la Banca Centrale cinese. In realtà, l’indipendenza, formalmente esistente, di queste agenzie e l’affidabilità dei loro giudizi è da tempo oggetto di ampie analisi e discussioni. Per questi motivi, solamente il 2% dell’ammontare del debito emesso in Cina è nelle mani di investitori internazionali, mentre il 98% è detenuto dai cittadini cinesi. Come accade per il mercato azionario, le maggiori aziende emettono delle obbligazioni destinate agli investitori internazionali tramite il mercato offshore, ma dal 2018 il Governo ha consentito l’accesso, con delle restrizioni, anche al mercato interno. La direzione del Governo cinese negli ultimi anni è, tuttavia, quella di internazionalizzare le fonti di finanziamento nella manifattura cinese e incentivare la crescita degli investimenti dall’estero. Come evidenziato da Marcello Minenna in un recente articolo scritto su Il Sole 24 Ore (“Pechino ha fame di capitali dall’estero e Trump lo sa”), nel 2018 la voce preminente del conto finanziario cinese era l’investimento dall’estero in titoli di debito di aziende cinesi. È in questo contesto che il Governo ha concesso, a fine gennaio, a Standard & Poor’s di emettere rating sulle aziende cinesi, per il tramite di una controllata. Per questo motivo, potremo presto vedere delle valutazioni condotte con gli standard internazionalmente riconosciuti.
Uno studio di Miles Livingston, Winnie P.H. Poon e Lei Zhou, pubblicato nell’ottobre 2017 sul Journal of Banking and Finance (“Are Chinese credit ratings relevant? A study of the Chinese bond market and credit rating industry”, ed. Elsevier B.V.), evidenzia che non esistono in Cina emissioni di bond con rating inferiore ad AA-. In effetti, il tasso di default, come si può osservare dal grafico 1, sembra essere incredibilmente basso (sei default nel 2015, uno nel 2016 e uno nel 2017) e scarsamente correlato con il tasso di default evidenziato globalmente, escludendo le società cinesi.
Tali differenze, probabilmente, sono spiegate dalla gestione governativa, a vario livello, della maggior parte dei possibili eventi di default, che scarica, di fatto, gli effetti dei salvataggi sul sistema bancario. Lo stesso studio conclude evidenziando una differenza nella scala di rating e specificando che un merito di credito AA+, secondo gli standard cinesi, potrebbe corrispondere a un rating BBB, secondo le metriche internazionali.
La stessa Standard & Poor’s calcola già i rating su più di ottocento società cinesi che emettono strumenti accessibili agli investitori esteri ed evidenzia un merito di credito medio di BBB e una notevole predominanza di rating di livello investment grade rispetto ad high yield. È evidente che qualsiasi apertura di un mercato di dimensioni così importanti come quello cinese attrae l’interesse di tutta la comunità finanziaria internazionale e, pertanto, si rende necessario che le valutazioni sul merito di credito siano il più possibile oggettive e allineate agli standard internazionali.
Come per il mercato azionario, la direzione verso cui si sta muovendo è quella di far includere gli strumenti all’interno degli indici benchmark, in modo tale da attirare i flussi dei fondi d’investimento e da modificare, o integrare, molti panieri replicati da Etf. Non dovrebbe sorprendere, così, che l’offerta di strumenti a gestione passiva focalizzati sul mercato obbligazionario cinese, e quotati in Borsa Italiana, al momento, è molto limitata. Nello specifico, è solo l’Xtrackers II Harvest China Government Bond Ucits Etf ad avere una piena esposizione alla più importante potenza economica asiatica, ma concentrandosi sul solo debito governativo. Pertanto, si può raggiungere il segmento delle obbligazioni societarie non finanziarie cinesi solo in maniera indiretta, poiché si deve ricorrere esclusivamente a prodotti differenziati (ovvero, Etf su indici obbligazionari corporate di Paesi emergenti, ndr.), all’interno dei quali, tra l’altro, l’esposizione verso il mercato cinese resta limitata. Per citare alcuni esempi, su Borsa Italiana è quotato l’iShares J.P. Morgan $ Em Corp Bond Ucits Etf, il cui 3,6% del proprio patrimonio è destinato a debito cinese di società non finanziarie, mentre sulle Borse di Londra, Parigi, Francoforte e Zurigo è negoziabile lo Spdr Ice BofAml Emerging Markets Corporate Bond Ucits Etf, la cui esposizione verso il debito cinese, di società non finanziarie e finanziarie e di agenzie semigovernative, si aggira complessivamente attorno al 30%.
Tutti e tre gli Etf citati utilizzano una tecnica di replica fisica ottimizzata dei rispettivi benchmark, espongono l’investitore al rischio di cambio nei confronti dell’euro e distribuiscono periodicamente i proventi generati dai sottostanti. In prospettiva futura, l’apertura agli investitori esteri al debito delle aziende cinesi potrebbe portare a una crescita nel numero di Etf quotati (anche su Borsa Italiana), così come è avvenuto per gli Etf azionari che investono nelle aziende della Cina continentale. Attualmente, infatti, sono saliti a otto gli Etf presenti su Borsa Italiana che si concentrano sulle azioni di classe A, ovvero quelle quotate sulle Borse di Shanghai e Shenzhen, raggiungibili solo da un numero ristretto di investitori istituzionali non domestici, attraverso il programma Qualified Foreign Institutional Investor (QFII), rispetto ai cinque Etf che investono sulle azioni cinesi quotate sulla Borsa di Hong Kong.