RENDIMENTO
La domanda in fondo è semplice: i Btp Valore sono davvero in grado di restituire un rendimento interessante al netto dell’inflazione?
L’incremento dell’indice FOI (che misura l’in-flazione dei beni di consumo e servizi in Italia) ha visto il suo maggior incremento, anno su anno, nel novembre scorso, con un +11,8%. «Proprio per questa modalità di rilevazione mainstream (calcolata ogni mese, anno su anno) derivano alcune incomprensioni nel funzionamento dei Btp Italia, ossia indicizzati all’inflazione, che restituiscono, semplificando, l’inflazione maturata ogni sei mesi», spiega Andrea Cattapan, analista presso Consultique Scf. Che aggiunge: «Inoltre è richiesto che il livello generale dei prezzi superi i propri massimi per distribuire la cedola. Ecco perché a un generale entusiasmo nella parte iniziale dell’anno verso questi strumenti, poi di recente la resa cedolare stimata viene vista come deludente, per il semplice fatto che da inizio anno l’inflazione italiana è ferma a un +0,8% fino a fine agosto».
Secondo Cattapan, bisogna poi tener conto di un altro aspetto importante nel funzionamento di questo bond indicizzati: è vero che lo strumento ha una indicizzazione del capitale all’inflazione che funziona, tuttavia esso rimane un titolo obbligazionario che ha una scadenza ed è quindi soggetto al rischio tasso (duration), con la conseguente necessità di monitorare l’andamento dei tassi reali. «Il loro livello di interesse per un risparmiatore non può essere legato al fatto di riuscire a individuare i periodi con più inflazione, visti i tecnicismi dello strumento, ma piuttosto deve rappresentare una scelta strategica nell’ambito di portafoglio, ossia deve avere delle componenti che possano coprire il rischio inflattivo. Non solo loro, chiaramente, ma anche i Btp Valore vanno accompagnati da strumenti diversificati», spiega Cattapan.
In ogni caso, secondo Taylor, dato l’aumento repentino dei rendimenti dei titoli di Stato nel mese di settembre, anche a fronte di dati prospettici deboli a livello europeo, il fatto che le aspettative sull’inflazione non abbiano registrato variazioni significative suggerisce che, se dovesse verificarsi un ulteriore aumento dei rendimenti, questo potrebbe essere dovuto a un’inflazione che supera le previsioni sorprendendo al rialzo. «In tale contesto, i titoli inflation-linked potrebbero ottenere risultati migliori rispetto ai titoli di Stato nominali», afferma Taylor.
DEBITO ITALIANO
Ma in generale conviene acquistare il debito italiano, o è meglio qualche altro tipo di obbligazione. E quale? Nel corso di settembre abbiamo visto gli spread delle obbligazioni italiane allargarsi rispetto ai titoli di Stato tedeschi, in un momento in cui i rendimenti di tutti i titoli di Stato europei sono aumentati. Di conseguenza, i rendimenti dei titoli italiani a tre anni sono nuovamente sopra il 4%, mentre quelli a dieci anni sono appena al di sotto del 5%, il livello più alto degli ultimi dieci anni.
«Di recente abbiamo assistito a un innalzamento dei rendimenti dei Btp, principalmente dovuta a due fattori: la salita dei rendimenti a livello globale e le proiezioni di un potenziale ampliamento del deficit, che hanno causato l’ampliamento dello spread tra Btp e Bund», spiega Gioffreda. «Anche se il rendimento è ormai arrivato a livelli più elevati dalla crisi del 2012, lo spread non è per noi particolarmente interessante, poiché siamo leggermente al disotto della media dell’ultimo anno, e anche degli ultimi dieci anni». La strategist, all’interno della zona euro, continua ad avere un sottopeso in termini di duration in Germania e un sovrappeso in Slovenia e Spagna. «A livello globale preferiamo invece paesi come Stai Uniti, Regno Unito e Nuova Zelanda e siamo sottopesati sul Giappone, per le aspettative sulle future direzioni delle politiche monetarie delle rispettive Banche centrali», aggiunge Gioffreda.
In ogni caso, secondo Cattapan, il fatto di essere investitori italiani non deve portare a un automatico sovrappeso del debito italiano. Quindi deve essere posto un limite al peso dell’emittente Italia non tanto in termini di rischio default, ma piuttosto di volatilità che ne può derivare specie per le scadenze medio lunghe, dove effetti che vanno oltre quelli derivanti dai tassi di interesse possono creare vuoti d’aria non opportuni. «L’Italia ha un debito molto alto e una incostante disciplina di bilancio, per cui è oggettivo che vada trattata con cautela in un portafoglio», afferma Cattapan. Che aggiunge: «Risulta preferibile per le esposizioni sul debito italiano rimanere maggiormente sulle scadenze brevi, spostandosi poi su strumenti diversificati quando si vuole allungare la duration sulla parte governativa di portafoglio». Secondo lo strategist, in alternativa ai prodotti indicizzati, come gli Etf, è possibile opzionare qualche bond dell’Unione europea («ce ne sono diversi, anche con cedola 0, che permettono la compensazione fiscale») emessi in questi ultimi anni con scadenze diverse. O ancora: «Se il portafoglio lo permette come dimensione, è possibile costruire un giardinetto di titoli di stato della zona euro: questa fascia a “breve” può essere importante sulla parte obbligazionaria e può essere accompagnata anche da Etf di tipo monetario, magari aggan-ciati ai tassi Bce», conclude Cattapan.