Negli ultimi anni presso la varie banche dove sono cliente assisto ad una continua sollecitazione all’investimento in fondi flessibili a VaR, dove i gestori si fanno pagare annualmente una commissione di gestione quasi mai inferiore all’1,50% a fronte di una selezione periodica di titoli (cd. Gestione professionale del portafoglio), promettendo di non superare mai un rischio massimo preventivato (il VaR, appunto).
Nell’ ultimo anno, però, a causa di una forte volatilità presente sulle borse mondiali, questi fondi, oltre a far registrare performance negative, hanno mostrato due aspetti negativi: 1) Diversi Oicr flessibili a VaR oggetto della mia analisi e il cui periodo d’investimento è iniziato nel 2014/2015, investono quasi il 50% del loro patrimonio in titoli “risk-free” (titoli di Stato e altri titoli emessi da autorità sovranazionali) per i quali, a parer mio, non è necessario rivolgersi a una Sgr; 2) La volatilità fatta registrare sui listini azionari da aprile in poi ha comportato l’acquisto di titoli azionari nei periodi di quiete (e, sfortuna ha voluto, a prezzi più cari di quelli attuali) e, a causa di un aumento della volatilità, la vendita da parte del gestore degli stessi asset proprio nei momenti di crollo dei listini, a causa del vincolo del VaR presente.
Dinanzi a questo scenario e alle numerose incertezze, possiamo ritenere ancora validi questi investimenti? Considerato che su mille euro investiti la Sgr tesorizza da circa un anno circa 500 euro in titoli di Stato, non sarebbe opportuno da parte delle stesse società di risparmio passarsi una mano per la coscienza e ridurre (anche temporaneamente) la commissione di gestione puntualmente prelevata? Sarebbe un bel segnale distensivo e di vicinanza agli investitori.
Ma.Ma.
(via e-mail)
I fondi flessibili a V.a.R. (acronimo di value at risk valore a rischio) sono una particolare categoria di prodotti nata negli ultimi anni, proposti dall’industria del risparmio gestito alla clientela retail soprattutto in sostituzione di asset di investimento poco rischiosi. La definizione, infatti, di un obiettivo di V.a.R. (ossia della perdita massima a cui potrei andare incontro in uno scenario estremo) si lega all’aumento dell’incertezza presente sui mercati finanziari, con l’azionario e l’obbligazionario che hanno assunto valori molto elevati. «Un target di volatilità dovrebbe permettere di mantenere sotto controllo il rischio negli investimenti — spiegano dalla società di consu1enza indipendente Consultique —, rifugiandosi, ad esempio, nella liquidità nei periodi di crisi. Tuttavia, come il lettore ha giustamente sottolineato, si evidenziano due principali criticità, relative ai costi del prodotto e ai suoi meccanismi di funzionamento».
Questa categoria di prodotti è caratterizzata infatti da costi di gestione piuttosto alti, prelevati indipendentemente dall’andamento dei fondi e dei mercati. Da non sottovalutare inoltre anche l’impatto delle eventuali commissioni di performance in assenza delle clausole di High Water Mark (assoluto o relativo).
Relativamente al meccanismo di funzionamento, gli automatismi che portano a muovere i pesi di asset rischiosi e della liquidità sono quasi sempre governati da algoritmi matematici che probabilmente poco si prestano a fasi di mercato incerte e caratterizzate da ribassi e rimbalzi continui. «Inoltre, poiché gli asset non rischiosi (obbligazionario e monetario) presentano rendimenti a zero o addirittura negativi per molta parte dei titoli, nelle fasi di “risk-off” non è neppure possibile cumulare una seppur minima performance positiva, con l’impatto dei costi a gravare ulteriormente sulla performance.
Per le ragioni sopra elencate, l’auspicio del lettore è quindi sicuramente da condividere», conclude Consultique.