Fonte: PLUS, Il Sole 24 Ore; 08/05/2004
E’ un mercato salito del 180% in tre
E’ un mercato che cresce a ritmi esponenziali, e lo ha fatto negli anni bui della stagnazione economica italiana. Il mercato che corre a tassi di crescita a due cifre, ormai da tre anni, è quello dei derivati per le imprese. Strumenti di copertura dai rischi più disparati - da quello valutario a quello legato ai tassi d’interesse - che le banche hanno venduto a piene mani alle società.
I numeri sono impressionanti. Solo nei primi sei mesi del 2003 il valore nazionale (quello delle attività sottostanti su cui fanno leva i derivati) di questi sofisticati strumenti è salito del 34% a quota 3.920 miliardi di € dai 2.923 di fine 2002. Una galoppata che non ha eguali, dato che a livello dei Paesi del G -10 l’incremento è stato “solo” del 20%. Ma il fenomeno non data da ieri.
A fine 2000 l’ammontare di valore dei derivati era di 1.400 miliardi, una cifra lievitata del 180% in appena 30 mesi. E molti indizi fanno pensare che anche negli ultimi mesi di crescita non si sia attenuato.
Ma perchè tanta enfasi su questi prodotti? Dal punto di vista delle banche il quesito non ha nulla di amletico. Sono prodotti assai remunerativi e il loro sviluppo ha contribuito a sostenere la profittabilità degli istituti. Basta guardare ai numeri di Unicredito, incontrastato “primattore” di questo business con una quota del 50% del mercato.
Solo nei primi sei mesi del 2003 la vendita di derivati ha contribuito per ben 390 milioni al totale dei ricavi per 495 milioni di Ubm, la banca d’affari del gruppo. E secondo le stime di Kepler equities, l’attività nei derivati ha prodotto sull’intero 2003 ricavi per 673 milioni, il 7,7% della torta complessiva dei ricavi del gruppo unicredito. Un business assai lucroso che vede ora (vedi articolo sotto) anche le altre banche in corsa nel tentativo di recuperare il tempo perduto.
Intesa sta affilando le armi, ma anche Bnl e la Popolare di Verona-Novara non stanno a guardare come si evince dalla tabella pubblicata in pagina.
Del resto la domanda continua a crescere come evidenzia l’ultimo rapporto Prometela che segnala un incremento delle commisioni legate alla vendita dei derivati del 108% nel corso del 2003.
Una domanda forzata dalla necessità di coprire i rischi di cambio e quelli sui tassi d’interesse, ma che può tramutarsi in una più pericolosa (per le imprese) attività di speculazione finanziaria. Conferma Cesare Armellini, presidente della società di consulenza Consultique: “Questo genere di prodotti viene sempre più spesso proposto alle piccole e medie umprese come alternativa alla normale gestione di tesoreria. In fondo con i tassi così bassi gli imprenditori cercano rendimenti della liquidità più interessanti. Ecco allora l’interesse per i derivati che rischia di diventare però un’arma a doppio taglio”:
Già, perchè dietro la promessa di guadagni aggiuntivi, c’è anche la possibilità di perdite esponenziali. Ne sanno qualcosa molte imprese che avendo chiuso contratti che hanno registrato perdite potenziali, si vedono rinegoziare un nuovo derivato a copertura di quello precedente, come in una sorta di catena di Sant’Antonio che rischia di non avere fine. Un tema sempre più avvertito anche dalle Autorità di Vigilanza (Bankitalia) che esortano, da mesi, a una maggiore attenzione all’uso di uno strumento che produce sì profitti a breve per le banche, ma innesca un pericoloso rischio a livello di sistema.
Fabio Pavesi
E’ un mercato salito del 180% in tre
La mina dei derivati
E’ un mercato che cresce a ritmi esponenziali, e lo ha fatto negli anni bui della stagnazione economica italiana. Il mercato che corre a tassi di crescita a due cifre, ormai da tre anni, è quello dei derivati per le imprese. Strumenti di copertura dai rischi più disparati - da quello valutario a quello legato ai tassi d’interesse - che le banche hanno venduto a piene mani alle società.
I numeri sono impressionanti. Solo nei primi sei mesi del 2003 il valore nazionale (quello delle attività sottostanti su cui fanno leva i derivati) di questi sofisticati strumenti è salito del 34% a quota 3.920 miliardi di € dai 2.923 di fine 2002. Una galoppata che non ha eguali, dato che a livello dei Paesi del G -10 l’incremento è stato “solo” del 20%. Ma il fenomeno non data da ieri.
A fine 2000 l’ammontare di valore dei derivati era di 1.400 miliardi, una cifra lievitata del 180% in appena 30 mesi. E molti indizi fanno pensare che anche negli ultimi mesi di crescita non si sia attenuato.
Ma perchè tanta enfasi su questi prodotti? Dal punto di vista delle banche il quesito non ha nulla di amletico. Sono prodotti assai remunerativi e il loro sviluppo ha contribuito a sostenere la profittabilità degli istituti. Basta guardare ai numeri di Unicredito, incontrastato “primattore” di questo business con una quota del 50% del mercato.
Solo nei primi sei mesi del 2003 la vendita di derivati ha contribuito per ben 390 milioni al totale dei ricavi per 495 milioni di Ubm, la banca d’affari del gruppo. E secondo le stime di Kepler equities, l’attività nei derivati ha prodotto sull’intero 2003 ricavi per 673 milioni, il 7,7% della torta complessiva dei ricavi del gruppo unicredito. Un business assai lucroso che vede ora (vedi articolo sotto) anche le altre banche in corsa nel tentativo di recuperare il tempo perduto.
Intesa sta affilando le armi, ma anche Bnl e la Popolare di Verona-Novara non stanno a guardare come si evince dalla tabella pubblicata in pagina.
Del resto la domanda continua a crescere come evidenzia l’ultimo rapporto Prometela che segnala un incremento delle commisioni legate alla vendita dei derivati del 108% nel corso del 2003.
Una domanda forzata dalla necessità di coprire i rischi di cambio e quelli sui tassi d’interesse, ma che può tramutarsi in una più pericolosa (per le imprese) attività di speculazione finanziaria. Conferma Cesare Armellini, presidente della società di consulenza Consultique: “Questo genere di prodotti viene sempre più spesso proposto alle piccole e medie umprese come alternativa alla normale gestione di tesoreria. In fondo con i tassi così bassi gli imprenditori cercano rendimenti della liquidità più interessanti. Ecco allora l’interesse per i derivati che rischia di diventare però un’arma a doppio taglio”:
Già, perchè dietro la promessa di guadagni aggiuntivi, c’è anche la possibilità di perdite esponenziali. Ne sanno qualcosa molte imprese che avendo chiuso contratti che hanno registrato perdite potenziali, si vedono rinegoziare un nuovo derivato a copertura di quello precedente, come in una sorta di catena di Sant’Antonio che rischia di non avere fine. Un tema sempre più avvertito anche dalle Autorità di Vigilanza (Bankitalia) che esortano, da mesi, a una maggiore attenzione all’uso di uno strumento che produce sì profitti a breve per le banche, ma innesca un pericoloso rischio a livello di sistema.
Fabio Pavesi