Sono circa 660 le banche attive in Italia. Non ci sono solo le grandi realtà vigilate direttamente dalla Bce, che ormai quotidianamente sono sotto i riflettori dei media. A ricordarcelo sono le mail dei clienti degli istituti di minori dimensioni in cerca di rassicurazioni sulla solidità della propria banca. Preoccupazioni spesso alimentate anche dalla scarsità di informazioni.
In una logica di servizio Plus24 ha raggruppato le richieste dei lettori e con l’aiuto dell’ufficio studi di Consultique, pubblica in tabella una serie di indicatori da tenere sotto osservazione per monitorare la “forza” di ogni singola banca nel resistere alle nuove regole europee. Del resto nelle pieghe della direttiva “Brrd – Bank Recovery and Resolution” che ha introdotto il bail-in c’è l’esplicito tentativo dei regolatori di delegare al singolo cliente l’onere di valutare la solvibilità della propria banca. Ogni risparmiatore dovrebbe dedicare un po’ di tempo per documentarsi e prendere dimestichezza con vari indicatori di solidità, anche se le authority preposte dovrebbero evitare estreme conseguenze, anche alla luce delle rafforzate misure di vigilanza prudenziale introdotte con il bail-in. «Uno dei coefficienti più utilizzati per la valutazione delle banche è il Cet1 - afferma Giuseppe Romano, responsabile ufficio studi Consultique -, che esprime il rapporto tra il capitale primario a disposizione di una banca e le sue attività ponderate per il rischio. II Common Equity Tien, però, è un indicatore di adeguatezza patrimoniale di tipo statico, che fotografa la situazione della banca a un preciso istante, ma non ne esprime il reale andamento e le tendenze delle sue principali grandezze reddituali». Non a caso la Bce, nel comunicato stampa del 6 gennaio 2016 in cui ha pubblicato le priorità di vigilanza per il corrente armo, ha indicato l’adeguatezza patrimoniale, insieme al rischio di modello imprenditoriale e di redditività, rischio di credito, rischio liquidita e qualità dei dati.
Per una completa valutazione dell’affidabilita di una banca il Cet1 deve essere quindi analizzato insieme ad altri indicatori. «A nostro avviso - prosegue Romano - un primo indice da considerare e il rapporto tra la redditività “core” della banca, intesa come redditività tipica dei servizi bancari (margine di interesse e commissioni nette, ndr) e i costi operativi della stessa. L’indice misura, in una situazione ottimale, escludendo gli accantonamenti per le sofferenze, quanto la banca e in grado di sostenere i costi tipici della sua attività. Un indicatore prossimo all’unita è in il costante deterioramento, in presenza di utili registrati dalla banca, potrebbe dipendere da componenti reddituali straordinari (come utili da titoli o da cessione di attività) che, per loro natura, non sono ricorrenti per il futuro».
Un altro indicatore è l’andamento delle attività ponderate per il rischio (Rwa—RiskweightedAsset): se scende potrebbe voler dire che la banca sta riducendo il credito alla clientela e investire in titoli di Stato, con relativi impatti sul margine d’interesse in base all’attuale situazione di mercato. Anche la composizione dei crediti deteriorati e i relativi rapporti di copertura esprimono le perdite potenziali che la banca potrebbe ancora “scontare” nel proprio conto economico. I crediti deteriorati sono classificati in sofferenze, inadempienze probabili ed esposizioni scadute, cui corrispondono diversi livelli di accantonamenti per le relative perdite. «Un basso rapporto di copertura- spiega Romano – è indice, anche se non c’è certezza, di potenziali perdite su crediti non ancora computate a bilancio». Un ulteriore indicatore da considerare e la differenza tra l’8% del totale delle passività e il totale mezzi propri, costituiti dal capitale e dai titoli subordinati. La normativa prevede che il bail in sia applicato almeno all’8% del passivo. Una differenza positiva indica che, in caso di dissesto, le risorse di azionisti e creditori subordinati potrebbero non essere sufficienti. «Non ultimo - aggiunge Romano - c’è il Texas Ratio che si calcola come il rapporto tra crediti deteriorati lordi e la somma di “capitale netto tangibile” (capitale netto meno immobilizzazioni immate1iali) e riserve per perdite su crediti. Anche in questo caso, ci sono diverse banche con un rapporto superiore al 100%, pur presentando un Cet1 soddisfacente».
Infine, il Liquidity Coverage Ratio (Lcr)e il Net Stable Funding Ratio (N sfr) consentono di monitorare il rischio liquidità. «Il primo — conclude Romano - è un indicatore di breve e misura la capacità della banca di soddisfare i suo fabbisogno di liquidità nell’arco di 30 giorni in uno scenario di forte stress. Il secondo verifica se la banca finanzia gli attivi con fonti di approvvigionamento durevoli, per garantire in modo strutturale che attività e passività presentino una composizione per scadenze sostenibi1e. Va1ori superiori al 100% indicano una buona capacità della banca di far fronte ai fabbisogni di liquidità». Tutti indicatori che vanno analizzati nel loro insieme.
Non tutte le banche pubblicano relazioni semestrali, per alcune non è neanche un obbligo, e i dati disponibili per molti istituti, in attesa della pubblicazione dei bilanci al 31 dicembre 2015, sono ancora aggiornati a fine 2014. In questi casi le difficoltà per i risparmiatori, per valutare la solidità delle proprie banche, aumentano avendo a disposizione dati non sempre aggiornati. Sarebbe auspicabile che tutte le banche informassero almeno con cadenza semestrale i propri clienti sulla qualità dei propri indicatori reddituali e patrimoniali. Una maggiore informazione aiuterebbe a dissolvere le paure e ristabilire il necessario clima di fiducia.
FONTE tabella Elab. Ufficio Studi e Ricerche Consultique su dati Bloomberg e societari