Vorrei ricevere delucidazioni riguardo al cosiddetto bail-in delle banche. Nello specifico gradirei conoscere la posizione degli istituti bancari come Intesa San Paolo, Bnl-Bnp Paribas, Unicredit e la loro sicurezza rispetto alla possibilità di default.
Vorrei anche sapere se esiste una classifica aggiornata e se c’è la possibilità di seguire personalmente l’andamento e di consultarlo. Soprattutto vorrei sapere se esiste nelle banche citate la possibilità di salvataggio interno. Se sono considerate sicure e solide quali sono i motivi per cui lo sono?
Iniziamo con la definizione. Con l’espressione bail-in si definisce la procedura di svalutazione di azioni e crediti detenuti da una banca e la loro conversione in azioni per recuperare le perdite e ricapitalizzare così la banca in difficoltà può fornire il capitale a una “nuova banca” (come nei casi di Banca Marche o a Banca Etruria). È l’opposto del bail-out, ossia di quel meccanismo di salvataggio delle banche che in precedenza gravava sugli Stati. «Il rischio di bail-in si concretizza per la detenzione di strumenti finanziari (azioni e obbligazioni) emessi dall’emittente bancario e sulle somme depositate presso ciascun intermediario eccedenti i 100mila euro per intestatario – precisano da Consultique che abbiamo coinvolto per rispondere alle sue domande –. In questi casi, qualora la banca dovesse incontrare delle difficoltà, si potrebbero avere delle conseguenze su tali forme di investimento, anche se con gradazioni diverse». In caso di difficoltà dell’istituto, infatti, i soggetti che rischiano di più sono gli azionisti; qualora l’utilizzo delle risorse degli azionisti non fossero sufficienti per risanare la difficoltà, allora verrebbero intaccati prima gli obbligazionisti subordinati e successivamente gli obbligazionisti ordinari dell’istituto; al termine di questo processo potrebbero essere intaccati i depositanti con controvalori superiori a 100mila euro.
Il rischio associato al default di una banca può chiaramente essere monitorato. Il metodo più facile è la valutazione del valore del Cds (credit default swap), ovvero l’equivalente del costo di assicurarsi contro il rischio di fallimento dell’emittente.
«Quanto più il Cds è elevato, tanto più tale rischio è giudicato alto dal mercato. Per quanto rappresenti una misura semplice e ideale per rispondere alla domanda del lettore, si deve segnalare che si tratta di un dato non facilmente ottenibile dai non addetti al settore», spiegano da Consultique. Per fare brevemente il punto della situazione di tale indicatore per le banche menzionate si può registrare che al 1° febbraio Intesa ha un Cds a cinque anni pari a 69 punti base, per UniCredit è pari a 73 punti base e per Bnp è pari a 38 punti base.
Si tratta di valori comunque complessivamente bassi, soprattutto se comparati in momenti di maggiore stress dei mercati, come a marzo 2020 quando i Cds delle banche avevano superato il livello di 150 o durante la crisi del debito sovrano italiano quando superarono addirittura 500.
La probabilità di default può essere calcolata anche attraverso metodi di stima. Bloomberg fornisce, ad esempio, tali stime, ma, anche in questo caso, si tratta di valori non raggiungibili facilmente dal comune investitore.
Riprendendo tali calcoli la probabilità di default nel prossimo anno, secondo Bloomberg, si attesta attorno allo 0,01% e lo 0,02% per tutti e tre gli istituti sopramenzionati. Detto ciò, l’ufficio studi Consultique ritiene comunque che un indicatore non rappresenti pienamente l’intera fotografia del rischio di un emittente. Quindi, la società di consulenza indipendente produce volta per volta delle analisi ad hoc in cui si valutano complessivamente diversi indicatori del grado di solvibilità dell’istituto sotto studio, attraverso l’analisi del Cet1 ratio e del Tcr ratio.
Si guarda inoltre alla redditività dell’emittente; alla qualità del credito e alla percezione del rischio da parte del mercato. All’interno di quest’ultima fattispecie, tra gli altri indicatori rientrano anche i giudizi emessi dalle principali agenzie di rating. Tale dato, più degli altri, è facilmente recuperabile dal pubblico e, in alcuni casi, evidenziato dalle stesse banche.
Risponde Federica Pezzatti