Subito dopo l’elezione di Trump, ormai più di un anno fa, si era assistito sul mercato azionario statunitense a una forte rotazione settoriale, a favore dei comparti della cosiddetta “old economy”, in particolare finanziari e industriali. Il settore tecnologico aveva, invece, vissuto un momento di lateralizzazione, sospeso tra le incertezze dei programmi politici della nuova amministrazione americana. Da gennaio in poi, tuttavia, tra le debolezze di Trump e l’affermazione delle innovazioni nei segmenti dei big data e dell’automazione, le società del comparto tecnologico hanno macinato record, contribuendo in maniera determinante all’avanzata degli indici azionari statunitensi. Due eventi che hanno caratterizzato il mese di dicembre, ovvero la discussione sulla riforma fiscale e il pronunciamento sull’abolizione della Net neutrality, tuttavia, contribuiranno a rimescolare le carte nell’economia statunitense e, di conseguenza, nei mercati azionari Usa.
La riforma fiscale, anche se ridimensionata rispetto alle promesse fatte nella campagna elettorale, rappresenta il primo vero successo di Trump, dopo il fallimento dell’abolizione dell’Obamacare. La riforma è stata approvata sia alla Camera sia al Senato, anche se con alcune differenze sulle quali si dovrà trovare la quadra. Tra le innovazioni che più riguarderanno il mercato azionario, vi è sicuramente il passaggio dell’aliquota relativa alla corporate tax dal 35% al 20%. Tale vantaggio fiscale non interesserà tutte le società americane, poiché sono molte quelle che, tramite agevolazioni di vario tipo, beneficiano di una tassazione già inferiore, anche di molto, al 20%. Secondo uno studio di Credit Suisse, infatti, i settori che trarranno più vantaggio da questa riforma fiscale sono il retail, le telecomunicazioni, l’industriale e le utility, mentre i comparti su cui la sua messa in atto non inciderà sono la tecnologia, l’healthcare e l’energia, perché tali società pagano già un’aliquota effettiva inferiore.
Il settore delle telecomunicazioni, inoltre, trarrà particolare vantaggio anche dall’abolizione della Net neutrality, ovvero la condizione per cui l’accesso a Internet non è ristretto arbitrariamente né gli operatori delle telecomunicazioni possono discrezionalmente rallentare o avvantaggiare determinati utenti alla sua connessione. Sulla decisione si dovrà esprimere la Federal Communications Commission a metà dicembre, ma è diffusamente prevista la sua abolizione. Questo permetterà alle compagnie telefoniche di offrire pacchetti di servizi diversificati a prezzi differenti per ciascun pool di clienti. Di contro, le società che potrebbero essere maggiormente danneggiate da questa abolizione sono tutte quelle legate a vario titolo al mondo del digitale (Google, Facebook, Apple ecc..), che potrebbero vedere ridimensionata e differenziata la platea di utenti tra chi ha acquistato una corsia preferenziale nell’utilizzo delle varie piattaforme e chi, invece, avrà a disposizione una connessione più rallentata.
Nei due grafici a barre (vedi grafico 1 pag. 61 e 2) sono presentati i rendimenti dei settori economici dell’indice Msci Usa da inizio anno e nell’ultimo mese, rispettivamente. È evidente il testa/coda tra il comparto che ha registrato le migliori performance nel 2017, cioè il settore tecnologico con una crescita del 33,64%, e quello che ha subito la maggiore perdita, ovvero le telecomunicazioni, con una flessione del 10,26%. Tale ordine, nell’ultimo mese è stato ribaltato a vantaggio delle telecomunicazioni, che hanno guadagnato il 10,2%, e a discapito dell’information technology, che ha ritracciato del 2,6%. Dato che le due sopra citate novità (Net neutrality e riforma fiscale) potrebbero portare a differenze anche significative tra i vari comparti dell’economia statunitense, si propone nella tabella 1 l’offerta di Etf quotati su Borsa Italiana che si focalizzano su uno specifico settore del mercato azionario Usa. I prodotti di questo tipo sono venti e coprono dieci settori, ovvero: consumi di prima necessità, consumi discrezionali, energia, salute, industria, materiali, servizi finanziari, tecnologia, utility e immobiliare. La copertura dei vari comparti è garantita, per quanto riguarda i tradizionali settori economici, dagli strumenti promossi da Invesco (Source Etf) e da State Street Global Advisors (SPDR ETFs), correlati ai sottoindici settoriali Select dello S&P 500, così come identificati dal Global Industry Classification Standard (GICS).
Entrambi gli Etf provider, infatti, hanno fondi che replicano gli indici S&P Us Consumer Discretionary Select Sector, S&P Us Consumer Staples Select Sector, S&P Us Energy Select Sector, S&P Us Health Care Select Sector, S&P Us Industrials Select Sector, S&P Us Materials Select Sector, S&P Us Financials Select Sector, S&P Us Technology Select Sector, e S&P Us Utilities Select Sector, seppur con una lieve differenza nella metodologia di capping dei singoli componenti, in base alla propria market cap aggiustata per il flottante (25% negli indici di riferimento degli SPDR ETFs e 20% in quelli dei Source Etf). Le differenze tra i due emittenti, dunque, riguardano la modalità di replica del benchmark, che nel caso dei Source Etf di Invesco è indiretta, o sintetica (swap based), mentre per gli SPDR ETFs è diretta, ovvero fisica e completa, e i costi totali annui (Ter), rispettivamente dello 0,30% e 0,15%. La politica dei dividendi, comune a tutti gli strumenti, è quella dell’accumulazione. A questi 18 prodotti si aggiungono l’iShares Us Property Yield Ucits Etf e il Lyxor Ftse Epra/Nareit Us Ucits Etf, che replicano indici focalizzati sul Real estate statunitense. Il primo è a replica fisica completa, mentre il secondo è a replica sintetica; entrambi i fondi prevedono un Ter annuo dello 0,40% e la distribuzione dei dividendi.