I cloni investono nei big del settore e sono esposti al trend azionario
Il tema degli investimenti alternativi va molto di moda. Con un mercato dei bond sotto pressione e l’azionario che fa i capricci la ricerca di rendimento attraverso altri canali è un imperativo. Il private equity è sicuramente uno di quelli. Si tratta di operazioni finanziarie di medio-lungo termine con l’obiettivo di apportare capitale di rischio in una società (detta target), generalmente non quotata. Sono investimenti gestiti da soggetti professionali in molti casi con fondi chiusi ad hoc con un obiettivo mediamente intorno ai 7 anni. Negli ultimi 20 anni i ritorni medi annui sono stati poco sopra le due cifre, ma è un mondo aperto a una determinata fascia di investitori.
Sulle Borse europee sono quotati alcuni Etf legati al mondo del private equity. Si tratta ad esempio dell’Xtrackers Lpx Private Equity che investe in un indice che replica le 25 società private quotate più liquide di tutto il mondo coperte dall’Lpx e da inizio anno perde il 31 per cento. Oppure l’iShares Listed Private Equity che replica i più grandi e liquidi titoli private equity dell’America del Nord, dell’Europa e dell’area dell’Asia e del Pacifico. Da inizio anno lascia sul terreno il 23 per cento.
Il punto è proprio questo: i risparmiatori che pensano di puntare su questi titoli come strategia di decorrelazione dai mercati tradizionali (equity e bond in primis) sbagliano. Questi strumenti riflettono in tutto e per tutto le dinamiche dell’azionario. «Questi prodotti – commenta Rocco Probo, analista Consultique – permettono un’esposizione alle azioni di quelle società che nel mondo si occupano di private equity. È evidente quindi che non si tratta di un investimento diretto nel private equity, ovvero in investimenti azionari non quotati su mercati e caratterizzati da tendenziale illiquidità». Per semplificare si può affermare che questi strumenti permettono l’esposizione su un sottosettore del più ampio settore finanziario globale. «I nomi forti e più ricorrenti – continua Probo – sono i big player, come Blackstone, Partners Group, Kkr, Brookfield, ovvero le principali società che offrono prodotti di private equity. Come spesso accade per l’esposizione azionaria verso asset manager queste strategie si caratterizzano per un beta rispetto all’indice generale azionario superiore a uno, ovvero ottengono delle performance superiori all’indice generale quando i mercati crescono ed ottengono delle performance inferiori all’indice generale, quando i mercati si contraggono. Questo spiega facilmente gli andamenti nel 2021, anno di espansione dei mercati finanziari azionari, e nel 2022, anno caratterizzato da un’opposta direzionalità».
Esiste una correlazione tra le dinamiche economiche e i trend delle operazioni di private equity. Il boom dello scorso anno delle operazioni di buy-out a livello globale, ad esempio, è avvenuto in concomitanza con la generale ripresa dell’economia dopo lo scoppio della pandemia. Ma cercare di trovare altre correlazioni può essere infruttuoso per il risparmiatore. «Visto – conclude Probo – che sono strumenti e tipologie di investimento diverse, non si possono attendere performance da questi Etf paragonabili a quelle dei fondi di private market, ma piuttosto saranno più correlati con l’andamento degli indici azionari globali».
Andrea Gennai