Plus24 | Fondi pensione. I costi sono ancora alti e deprimono i rendimenti del futuro

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Sabato 22 giugno - Plus 24, p.7

Le economie di scala non incidono sui prezzi applicati da Pip e fondi aperti

Salgono i rendimenti dei fondi pensione che nel 2023 finalmente tornano a sorridere. Ma purtroppo non scendono i costi e chi si trova oggi a scegliere se costruirsi una pensione di scorta fa bene a puntare il faro anche su questo aspetto.
Secondo quanto riportato nella relazione annuale della Commissione di vigilanza dei fondi pensione Covip (presentata alla Camera il 19 giugno), i costi restano mediamente alti soprattutto per i piani individuali pensionistici. Quando si parla di oneri per facilitare i confronti bisogna guardare al cosiddetto indicatore sintetico dei costi (Isc), introdotto dalla commissione fin dal 2007 per misurare in maniera confrontabile l’onerosità delle diverse forme pensionistiche. In sostanza di un termometro per definire l’incidenza percentuale dei costi sostenuti annualmente da un iscritto sulla propria posizione individuale accumulata.

Per facilitare i confronti, sul proprio sito istituzionale la Covip mette a disposizione anche un “Comparatore dei costi”, uno strumento interattivo che consente di confrontare l’Isc di ciascuna opzione di investimento rispetto ai costi applicati dalle altre forme pensionistiche presenti sul mercato. Come noto fondi pensione negoziali risultano quindi gli strumenti previdenziali con i valori dell’Isc più bassi. Considerando un periodo di partecipazione di dieci anni il valore medio risulta pari allo 0,50 per cento. Fondi aperti e Pip hanno sul medesimo orizzonte temporale un Isc medio rispettivamente pari all’1,35 e al 2,17 per cento. Prendendo come riferimento un arco temporale che inizia a partire dal 2007, anno di attuazione della riforma della previdenza complementare, non si registrano variazioni di rilievo. Essi sono rimasti praticamente sullo stesso livello per fondi aperti e Pip; i fondi negoziali si sono fin da allora posizionati su livelli dei costi molto più contenuti. Appare anche utile mettere in relazione i costi delle singole forme pensionistiche, distinte in base alla tipologia, con le loro dimensioni in termini di attività.

Economie di scala nulle per i Pip
Se per i fondi pensione negoziali è possibile osservare una lieve relazione inversa fra i costi praticati e la dimensione dei fondi, determinata principalmente dalle economie di scala generate dalla ripartizione degli oneri amministrativi, per le forme che raccolgono adesioni individuali, l’ampia dispersione dei costi, che assumono valori relativamente più elevati anche in alcuni dei prodotti di dimensioni maggiori, non consente di rilevare una chiara correlazione tra costi e dimensioni.

«Per tali forme, e in particolare per i Pip, l’aumento dimensionale non sembra generare economie di scala che in effetti si traducano in una riduzione dei costi a carico degli aderenti – come spiega la relazione Covip –. Si può ipotizzare che per le forme di mercato a costi più elevati corrispondano più elevate remunerazioni delle reti di vendita, che così incentivate contribuiscono alla crescita delle adesioni e dei contributi raccolti».

I prodotti offerti dai Pip si confermano i più costosi per tutte le tipologie di comparto d’investimento. Sul periodo decennale, nei comparti azionari la maggiore onerosità dei Pip si traduce in differenziali di costo del 2,26% rispetto ai fondi negoziali e 0,94% punti rispetto ai fondi aperti.

Nei comparti bilanciati, i Pip costano in media l’1,75% in più rispetto ai fondi negoziali e lo 0,68% in più rispetto ai fondi aperti.

Nelle linee obbligazionarie, il divario è, rispettivamente, dell’1,55% e dello 0,87 per cento. Infine, anche nei comparti garantiti si osservano differenze in media dell’1,14% in più rispetto ai fondi negoziali e dello 0,66% sui fondi aperti.

Il peso dei costi
«Per capire quale è l’impatto dei costi sulle pensioni di scorta future basta ricordare che un punto in più di Isc annuo abbatte il rendimento del 25% circa sui trent’anni», spiega Giuseppe Romano della società di consulenza indipendente Consultique. Forse le autorità dovrebbero fare qualche riflessione in più anche su questi dati, tanto più che sta emergendo che aumenta (per fortuna) il numero di chi apre un Piano pensionistico per i propri figli. Ma se si sceglie il prodotto sbagliato è tutto da provare che si tratti di un regalo intelligente.

Nonostante sia chiaro che il mercato offre prodotti cari, e la cosa è nota anche alla stessa commissione di vigilanza, dal 2015 al 2023, i costi medi dei diversi comparti di investimento sono rimasti sui medesimi livelli di pricing.

Garantiti scarsi ma più cari
Fanno eccezione le linee garantite dei fondi negoziali che, dopo un periodo di stabilità dei costi, hanno fatto segnare un progressivo incremento a partire dal 2020 che ne ha portato il livello dallo 0,47 per cento allo 0,72 per cento. Il tutto nonostante i risultati siano molto deludenti (come segnalato in più occasioni da Plus24).

Alla fine del 2023 risultava aver scelto una linea garantita il 37,1 % degli iscritti totali alla previdenza complementare. «Si tratta non solo di iscritti silenti ma anche – e prevalentemente – di persone che esplicitamente hanno scelto di versare contributi a linee più conservative e che, con ogni probabilità, non hanno modificato nel tempo la propria scelta – ha spiegato Francesca Balzani, presidente facente funzione Covip –. Tale significativa circostanza induce a riflettere anche sul ruolo che la linea di default può giocare quale elemento che implicitamente indirizza le scelte di partecipazione, assumendo in sé un valore “informativo” in termini di “adeguatezza/sicurezza” per gli iscritti e dunque presunta ottimale».

Con tale finalità, è necessario interrogarsi in primo luogo sull’attualità della scelta operata nel 2005, che individuava la cosiddetta linea di default per il conferimento del Tfr da parte dei lavoratori silenti in una linea assistita da una garanzia comparabile al tasso di rivalutazione del Tfr. Una scelta che ha penalizzato molti giovani che non hanno beneficiato dei rendimenti azionari che sono stati più soddisfacenti e che paiono più adeguati quando si ha un orizzonte temporale di tempo medio lungo (a patto ovviamente che i costi pagati non siano eccessivi).

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