I fondi più cari degli ETF di almeno l’1% ma le strategie attive battono quelle passive nel breve-medio termine
Tempi duri per le strategie attive di investimento sull’azionario. L’ultimo rapporto Esma su costi e performance degli strumenti finanziari per il retail (aggiornato al 2018) mette nero su bianco che le strategie attive sull’equity in media hanno fatto peggio, in termini netti, dei prodotti passivi (a partire dagli ETF) con costi maggiori. Anche i benchmark citati nelle strategie azionarie e obbligazionarie attive sono stati mediamente sottoperformati in termini netti. In tutto questo il tema dei costi resta centrale e la forbice tra fondi ed ETF evidenzia un differenziale superiore all’1% medio annuo, in parti-colare per l’azionario. Il dato che viene utilizzato da Esma è l’”on-going cost” che è un’approssimazione del Ter (total expense ratio).
LE VOCI DI COSTO
«Sono escluse le commissioni di performance - spiega Andrea Rocchetti, head of investment advisory Moneyfarm - che nei fondi attivi sono spesso previste. Nel confronto tra i costi complessivi sostenuti dagli investitori retail la differenza tra ETF e fondi azionari è superiore all’1%, secondo l’analisi, ma in realtà rischia di essere sottostimata perché negli ETF si fa riferimento a oneri di ingresso e uscita sul mercato primario che in realtà non vengono quasi mai sostenuti in quanto gli acquisti sono sul secondario». Mancherebbe l’incidenza del differenziale tra bid e ask, che Moneyfarm stima in circa lo 0,08% annuale. «L’incidenza dei costi pari a circa l’1% - aggiunge Rocchetti - appare ancora più rilevante per i fondi obbligazionari dove le performance passate e attese possono essere più compresse rispetto all’azionario».
Un altro aspetto molto importante è quello delle sovraperformance dei migliori fondi attivi. Il 25% dei migliori tra gli attivi fa meglio del 25% dei migliori tra i passivi (e del rispettivo benchmark di riferimento) ma solo in orizzonti più brevi (tre anni) e non nel lungo termine (10 anni). «Questo gruppo di fondi - conclude Rocchetti - cambia però nel tempo e non può essere utilizzato come predittore del futuro. In tutto questo contesto l’Italia emerge come paese dove i costi dei fondi sono superiori alla media Ue per tutte le categorie (azionaria, obbligazionaria, bilanciata/flessibile)».
SPESE E FATTORE TEMPO
Lo studio Esma analizza vari orizzonti temporali dei costi. Dal decennio fino a un anno. Per i fondi obbligazionari si passa dall’1,4% medio annuo nel decennio fino a circa l’1% nell’ultimo anno. Per quelli azionari si parte dall’1,8% e si arriva all’1,5% circa. In tutte e due i casi i costi per il retail sono circa il doppio rispetto a quelli per i prodotti dedicati agli istituzionali. Più contenuti gli oneri per gli ETF che oscillano tra lo 0,3% e lo 0,4% tra obbligazionari e azionari. «L’incidenza di alcuni oneri - spiega Piermattia Menon, analista Consultique - come i costi di entrata ed uscita potrebbe essere molto diversa nell’ottica del singolo investitore. Se il fondo viene detenuto per breve tempo commissioni di ingresso ed uscita possono avere un impatto maggiore rispetto a quanto indicato da Esma, mentre se il fondo è detenuto per un periodo più lungo potrebbero avere un impatto inferiore, in quanto spalmate su più anni. Questo vale ancora di più per gli ETF, dove l’ingresso e l’uscita si computano sul mercato primario quando invece il risparmiatore li acquista sul secondario. I differenziali di costo sono comunque una base realistica. Ad esempio, tra ETF e fondi azionari si aggira intorno all'1% anche se è una differenza prudenziale».
ONERI E PERFORMANCE
Per quanto riguarda il fatto che il 25% dei migliori fondi attivi batte quelli passivi a tre anni, anche secondo Menon, «i dati sono fatti sui risultati ex-post e per il risparmiatore è difficile scegliere un fondo che poi si riveli effettivamente tra i migliori e che riesca quindi a battere il benchmark nel periodo di detenzione. Gli obbligazionari sono più esposti all’impatto dei costi mentre sugli azionari si diluiscono meglio». Infine, non c’è una correlazione tra costi e performance. «La dispersione tra le statistiche riportate - conclude Menon - è alta. Questo vale anche per i fondi attivi, pertanto l’investitore deve tenere a mente che non c’è nessuna garanzia di ottenere una qualità di gestione migliore semplicemente per il fatto che si paga di più il gestore».
18/04/2020