Popolare di Bari, anche in Puglia rischiamo il disastro-banche

Consultique
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Popolare di Bari, anche in Puglia rischiamo il disastro-banche

Ieri le anticipazioni su un’indagine della Procura di Bari sui vertici della banca pugliese: le accuse riguardano presunte irregolarità nascoste nei bilanci ma anche vendite di azioni in cambio di finanziamenti. Come nel caso delle banche venete. Il rischio è che il valore delle azioni cali a picco

Popolare di Bari, anche in Puglia rischiamo il disastro-banche

Bisognerà osservare molto da vicino gli sviluppi dell’inchiesta sulla Popolare di Bari. Potrebbe sgonfiarsi oppure trasformarsi in un vulcano, ossia in un’altra crisi bancaria dagli esiti imprevedibili. A rischiare di scottarsi sono prima di tutto gli azionisti, che già oggi non riescono a vendere i propri titoli al prezzo finora negoziabile.

Andiamo pure con i piedi di piombo. Quello che è emerso di nuovo, riguardo alla Banca Popolare di Bari, è che c’è un salto di qualità nelle indagini della Procura di Bari. Come ha anticipato Repubblica, la procura non sta più solo indagando sulla svalutazione del 20% del valore delle azioni, decisa nel 2016 dall’istituto, e sull’ipotesi che solo alcuni azonisti “privilegiati” siano riuscite a venderle saltando ogni graduatoria. La novità è l’accusa verso i vertici della banca di associazione per delinquere, truffa, ostacolo all’attività della Banca d’Italia e false dichiarazioni nel prospetto informativo consegnato alla Consob. L’indagine per associazione a delinquere parte dalle rivelazioni di una gola profonda, un funzionario che, ricostruisce Repubblica, doveva sistemare le carte nell’ufficio rischi e sarebbe stato mobbizzato e poi licenziato in tronco per aver riportato ai vertici le irregolarità emerse. Da qui la sua decisione di andare in Procura dove ha raccontato le presunte “irregolarità nascoste nei bilanci” portando “nomi, numeri e fatti”, prima di avviare un procedimento per mobbing. Al numero uno della banca Marco Jacobini e ai due figli Gianluca e Luigi sono contestati i reati di concorso in maltrattamenti ed estorsione. Per l’ex dg Vincenzo De Bustis l’accusa è di maltrattamenti.

Subito è arrivata la replica secca della banca. «Le dichiarazioni rancorose di un dipendente licenziato per giusta causa è bene che siano oggetto di ogni approfondimento da parte della Procura, per consentire poi alla Banca Popolare di Bari di agire nei confronti dell’autore di tali inaccettabili propalazioni - dice una nota -. Sia chiaro: per la Banca contano solo i fatti, gli atti, i numeri, la trasparenza delle procedure e, di conseguenza, la fiducia dei Soci e dei clienti».

Ci sono state operazioni baciate?

Tra le cose da chiarire ce ne sono almeno due. La prima: cosa si intenda per irregolarità nascoste nei bilanci. La seconda: se sia vera l’ipotesi che stanno seguendo i magistrati, cioè che ci siano state delle “operazioni baciate”, sul modello già tristemente conosciuto presso la Popolare di Vicenza e Veneto Banca. L’ipotesi della Procura è che i dirigenti della banca «procedono al rilascio di linee di credito, in via diretta o indiretta, con l’acquisto di azioni». Quando? Nella ricostruzione del giornale non è chiaro il momento, si fa riferimento a titoli emessi per gestire la liquidità necessaria per la trasformazione da cooperativa in Spa. Di sicuro l’istituto ha effettuato due aumenti di capitale nel novembre 2014 (azioni per 300 milioni e obbligazioni subordinate per 200 milioni circa) e nella primavera del 2015 (50 milioni). Lo scopo era digerire l’acquisizione della banca Tercas di Teramo e poi la più piccola Banca Popolare delle Province Calabre. Come ha sottioineato in un post su LinkerblogFabio Bolognini, dall’acquisizione la banca barese è uscita con un’esplosione degli Npl e una riduzione della redditività. Questi due grafici rendono l’idea.

Secondo Andrea Cattapan, analista finanziario della società di consulenza Consultique, la domanda sull’esistenza operazioni baciate ha un’importanza fondamentale per il futuro della banca. Perché «se fosse vero la situazione sarebbe molto grave. È fondamentale appurare quanta quota ci sia di azioni “autofinanziate”, cioè di azioni sottoscritte da soci ma dove i soldi li dà la banca stessa. È chiaro che il patrimonio formato in questo modo non può essere solido, per questo tali azioni non possono formare il patrimonio di una banca. A Vicenza quando uscì fuori che il 30% del patrimonio era autofinanziato si capì che era la fine della banca».

 

Azioni, il prezzo è fuori mercato


Le azioni della Popolare di Bari sono già state al centro di un’indagine della Procura di Bari. Non è essendo la banca quotata, il valore delle azioni non oscilla sulla base della domanda e dell’offerta come avviene in Borsa. Nel 2016, a seguito di due perizie esterne di Deloitte e studio Laghi, il prezzo fu abbassato da 9,53 a 7,50 euro. L’occasione fu la registrazione delle perdite del 2015 (297 milioni di euro). Solo alcuni azionisti riuscirono a vendere le azioni a 9,53 euro e la Procura sta indagando per capire se sia stata data precedenza ad alcuni azionisti privilegiati, invece che rispettare il criterio cronologico. Ci sono state proteste dei piccoli azionisti proprio su questo aspetto, richieste di danni e la costituzione di un Comitato per la tutela degli azionisti della Banca Popolare di Bari. Gli avvocati dei consumatori chiesero in particolare il risarcimento del danno di tutti gli azionisti che sarebbero stati scavalcati dalla famiglia di imprenditori edili De Bartolomeo. È un dejavù, uno dei tanti, rispetto a quel che accadde a Vicenza e a Montebelluna.

C’è però un problema ulteriore. Con lo scopo di creare un meccanismo simile a quello di mercato, le azioni della Popolare di Bari sono state rese scambiabili sulla piattaforma Hi-Mtf, noto anche come “borsino telematico”. Il risultato però è stato deludente. Le azioni vendute sono state pochissime, perché l’oscillazione massima consentita era ridotta. A oggi, nota Cattapan, «a un valore di 6,90 euro ci sono 6 milioni di azioni offerte e domanda per sole 100 azioni». Di fatto, nessuno compra. Perché? Perché il rapporto tra la capitalizzazione (prezzo per numero di azioni) e il patrimonio (valore di libro tangibile) è troppo alto. «Per la Popolare di Bari attualmente il rapporto è di circa 1, per le altre banche quotate è di 0,5-0,6 - nota Cattapan -. Perché il rapporto di 1 fosse accettabile, dovremmo avere un bilancio molto più integro, mentre la situazione degli Npl di Popolare di Bari rimane grave; oppure dovrebbe avere una redditività molto maggiore, con a un Roe pari a quello ante-crisi, del 5 o 10%, mentre oggi le banche lo hanno mediamente attorno all’1 per cento. Per Popolare di Bari è di 0,5%». L’utile di bilancio del 2016, pari a 4,5 milioni, ha evitato valutazioni peggiori, ma per Cattapan il “fair value” delle azioni della Bari è del «40% in meno rispetto ai valori attuali».

Tutto questo vale tenendo conto dei numeri approvati, gli unici su cui si possono fare ragionamenti precisi. E se eventualmente gli accertamenti della magistratura dovessero imporre di pesare diversamente le azioni autofinanziate? Siamo nel campo delle ipotesi, ma secondo Cattapan lo scenario sarebbe gravissimo. «Le azioni diventerebbero illiquide, come successe per le banche venete. In altre parole, non si troverebbe nessuno disposto a comprarle. Non ci sarebbe neanche più un prezzo». La conclusione? «Sono abbastanza pessimista. I ministri hanno detto che la crisi delle banche venete sarebbe stata l’ultima a essere risolta. Io non credo, questo è un possibile altro caso. Sono pessimista soprattutto per gli azionisti, perché abbiamo visto che le banche in un modo o nell’altro le salvano, mentre il valore per gli azionisti va in fumo».

Il parallelismo con le banche venete

Dobbiamo concludere che la situazione della Popolare di Bari sia simile a quella delle venete? A guardare i numeri approvati no, continua l’analista, perché il rapporto tra i crediti deteriorati netti e il patrimonio netto è 1,4, un valore molto alto ma lontano da quello stratosferico di 3 delle banche venete. Anche il grado di copertura delle sofferenze è maggiore rispetto ai casi veneti ed è stato alzato. E la banca ha fatto dei passi, di cui c’è traccia nel bilancio 2016 e nella semestrale gennaio-giugno 2017, sul contenimento dei costi (soprattutto di personale, con 500 esuberi volontari annunciati) e sull’aumento dei ricavi da commissioni.

Sebbene i numeri siano divesi, i parallelismi tra la banca pugliese e quelle venete sono diversi. Li ricordava un anno fa Bolognini: «una crescita fatta da una lunga serie di acquisizioni di altre banche, le ultime particolarmente controverse. La lunghissima gestione padronale della banca da parte di una famiglia. Una serie di aumenti di capitale e prestiti obbligazionari collocati presso la clientela. Il fastidio e il ritardo nel trasformarsi in spa per obbedire al decreto sulle banche popolari e da ultimo la svalutazione improvvisa del 20% del valore delle azioni - non quotate in Borsa - con il malumore di alcuni dei 70.000 azionisti che da mesi o forse più di un anno non riescono più a vendere quelle azioni nel mercatino gestito dalla banca stessa». Ora bisognerà vedere se un altro parallelo sia il ricorso ad operazioni baciate.

Le autorità di vigilanza

Uno scandalo alla Banca Popolare di Bari porrebbe anche domande sul ruolo svolto dalla vigilanza di Banca d’Italia, dopo le critiche arrivata per la gestione della crisi delle banche venete e in particolare di Banca Popolare di Vicenza. Un articolo di Vittorio Malagutti su L’Espresso nel novembre 2016 ha dato conto di un’ispezione di Bankitalia avvenuta in tre riprese nel 2013 presso la Popolare di Bari. Furono segnalate diverse criticità e in particolare che alcuni prestiti importanti sarebbero stati erogati senza verifiche adeguate sulla solidità del cliente, nel gergo bancario «eccessiva correntezza». Nell’ottobre 2013, scrive Malagutti, «poche settimane dopo quella severa reprimenda, proprio da Bankitalia era arrivato a Bari l’invito a farsi carico di Tercas, la vecchia Cassa di Teramo». Il ruolo di Bankitalia in questi casi non ha mai il bollino dell’ufficialità ed è difficilmente dimostrabile: un’indagine sulla cessione della Banca Popolare di Spoleto al Banco di Desio vide l’archiviazione per il governatore Ignazio Visco dell’accusa di abuso d’ufficio. Di «persone che un anno fa suggerivano a Banca Etruria un’operazione di aggregazione con la Popolare di Vicenza» parlò, squarciando un velo di silenzio, la stessa Maria Elena Boschi, allora ministro delle Riforme.

In ogni caso l’acquisizione di Tercas da parte della Popolare di Bari non è dispiaciuta in via Nazionale. La stessa acquisizione è stata accompagnata, ricorda il professor Luca Erzegovesi, Università di Trento, da un combinato disposto di strumenti di sistema, per salvare Tercas e allo stesso tempo mantenere in sicurezza la Popolare di Bari. Tra le misure (a parte gli aumenti di capitale) c’è il fatto che metà dei sodi dell’acquisizione siano arrivati dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (ci fu prima una bocciatura da parte della Commissione europea, che però avallo la costituzione di uno schema volontario di intervento, separato rispetto a quello obbligatorio posto a tutela dei depositi). Ci fu anche il primo caso in Italia di ricorso alla Gacs, la garanzia pubblica sulla tranche senior, che permette di alzare il prezzo di vendita medio delle sofferenze e quindi di limitare i buchi di bilancio per la svalutazione delle stesse sofferenze (che in genere sono inserite a un valore molto superiore a quello effettivo di vendita). Nel caso di Bari, la titolarità della tranche senior è rimasta nel portafoglio della stessa Popolare di Bari; il che significa che gli Npl così cartolarizzati sono stati lasciati nell’attivo di bilancio. Lo Stato in caso di perdite che dovessero superare il valore delle tranche junior e mezzanine si troverebbe a pagare, in forza della sua garanzia (che comunque non è gratuita).

Altre domande riguardano il tema della trasparenza in caso degli aumenti di capitale e in particolare l’efficacia dei prospetti informativi approvati dalla Consob. Che il valore delle azioni non fosse in linea con quello di mercato non era un mistero e si poteva leggere chiaramente anche sui documenti relativi agli aumenti di capitale, nota Erzegovesi. Se si prende il prospetto Consob per l’aumento di capitale del novembre 2014, alla voce “Rischi connessi alle condizioni economiche delle Offerte”, si legge in effetti una frase significativa, circa la determinazione del prezzo di offerta delle azioni (8,95 euro, con uno sconto del 6% rispetto al prezzo di emissione di 9,53 euro): «L’Emittente non si è avvalso del supporto di esperti indipendenti (non è stata rilasciata alcuna fairness opinion)». Non solo: «Si segnala che i moltiplicatori “Price/Earnings” e “Price/Book Value” riferiti all’Emittente e calcolati sulla base del citato Prezzo di Offerta evidenziano un disallineamento rispetto ai multipli di mercato di un campione di banche popolari le cui azioni sono quotate in mercati regolamentati». Frase che si trova a pagina 3 sulle 411 del documento, ma che bisogna capire quanti dei 70mila soci della banca abbiano interpretato come un campanello di allarme da ascoltare attentamente.

Lo strascico politico

L’ultimo punto interrogativo che sollevano le anticipazioni di Repubblica sono i rapporti con la politica. «In quel momento - documentano le intercettazioni telefoniche - la banca si muove ad alti livelli anche con la politica, cercando di fare pressioni sul governo attraverso agganci locali e nazionali», si legge. Della Popolare di Bari parlò lo stesso Matteo Renzi in un attacco a Massimo D’Alema durante una Direzione Pd dello scorso febbraio. «Non vedo l’ora che parta questa commissione d’inchiesta sulle banche - disse l’ex premier -. Per mesi è sembrato che il problema fosse solo di due-tre banchette toscane. Ma quanto sarà affascinante e appassionante poter discutere delle banche pugliesi, della Banca Popolare di Bari, della 121». Materiale per discussioni di certo ora non manca.