Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea: con le nuove regole i risparmiatori che investono nelle banche rischiano di più.
Sono trascorsi tre mesi dall’introduzione del bail-in, il nuovo insieme di regole per il «salvataggio interno» delle aziende di credito in dissesto, e le famiglie sono ancora alla ricerca di rassicurazioni sulla propria banca.
Con il bail-in si parte dal presupposto che il costo della crisi va sostenuto principalmente all’interno dell’istituto stesso, come succede con tutte le altre imprese. Questo significa che, in caso di crack, saranno gli stessi investitori della banca a dover mettere mano al portafoglio per contribuire al salvataggio.
Al risanamento saranno chiamati prima di tutto gli azionisti, e a seguire, solo in caso che il contributo di questi sia insufficiente, sarà chiesto il sacrificio anche agli obbligazionisti (i primi a rimetterci saranno quelli subordinati). Infine, per ultimi, pagheranno i correntisti ma solo con la parte dei loro depositi che eccede i 100 mila euro. Va detto che i titoli azionari, fondi e altri strumenti di investimento, come i Btp, non sono soggetti al bail-in.
Per i risparmiatori, la nuova norma significa tante preoccupazioni e un onere in più. Ora occorre valutare e vigilare autonomamente sulla solvibilità della propria banca. La posta in gioco è alta dato il rischio di vedere andare in fumo gli accantonamenti di una vita. Certo le numerose autority che vigilano sulle banche dovrebbero evitare estreme conseguenze, anche alla luce delle rafforzate misure di vigilanza introdotte con il bail-in. In ogni caso è bene alzare il proprio livello di allerta e dedicare del tempo in più per guardarsi più da vicino l’istituto cui si sono affidati i propri risparmi.
La lezione arriva da Banca Etruria e dalle altre tre banche «salvate» dal governo sul finire dell’anno scorso (Banca Marche, Cari Ferrara e Cari Chieti). Il loro dissesto ha coinvolto migliaia di investitori, azzerando il valore delle obbligazioni subordinate che avevano sottoscritto negli anni. Poco dopo è arrivata la crisi delle banche venete che ha bruciato 9 miliardi in mano a 200 mila soci: famiglie, pensionati e imprenditori di Popolare di Vicenza e Veneto Banca. «Il tutto ha contribuito a cambiare la percezione del rischio dei risparmiatori che ora cercano di informarsi molto di più» racconta Andrea Cattapan, analista dell’ufficio Studi Consultique. «Questo avviene soprattutto per le banche più piccole».
Ma come si fa a capire se la nostra banca è sana?
Per farlo occorre calarsi nella terminologia della burocrazia di Bruxelles adattata al mondo finanziario.
Da questo mix nascono nuovi termini e sigle da cerchiate in rosso periodicamente su rendiconti bancari e sui resoconti di bilancio. «Va detto che non c’è un unico indicatore» spiega Cattapan. «Il più importante è il Cet1, il Common equity tier 1, che in molti hanno già imparato a conoscere».
Si tratta di un misuratore che dice quanto salde sono le fondamenta della banca. Lo fa rapportando il Capitale della banca con i sistemi che questa si è messa in pancia. In pratica, il Cet1 misura la relazione tra il capitale primario a disposizione dell’istituto, quindi i depositi e così via, e le attività della stessa, vale a dire tutto ciò su cui l’istituto si è esposto: dai prestiti, ai titoli di Stato. Nell’estrarre questo indicatore le varie attività della banca vengono però ponderate a seconda del loro rischio intrinseco. A ciascuna viene assegnato un peso differente in base alla loro qualità. Un titolo di Stato con un rating elevato come la «tripla A» avrà un peso diverso rispetto a un credito concesso a un’azienda che opera in un settore in crisi.
Qual è il livello di allarme del Cet1?
Per le grandi banche italiane questo particolare rapporto deve stare sopra la soglia del 10,8 per cento medio. Anche altri Paesi europei sono su questo ordine, la Spagna per esempio deve soddisfare un livello del 12 per cento mentre per la Germania è al 10,4. In Italia, i grandi istituti bancari sono ben al di sopra della soglia del 10 per cento. In cima alla classifica delle banche più solidi spicca Mediolanum: la banca fondata da Ennio Doris può contare su un Cet1 del 18,8, davanti a Intesa Sanpaolo (13,40) e Unicredit (10,53).
Dove va cercato il Cet1?
Lo si trova facilmente presso qualsiasi banca, in quanto è presente all'interno del bilancio d'esercizio, pubblicato sul sito internet dell’istituto. Molto spesso, inoltre, è presente anche nel prospetto informativo delle obbligazioni emesse.
Ci sono però anche altri parametri da considerare oltre al rapporto tra capitale e rischio. «Il Cet1 da solo spiega solamente in parte la solidità della banca» afferma Cattapan. «Anche le sofferenze vanno considerate perché se il loro livello da scontare in bilancio è ancora elevato, probabilmente nel suo futuro prossimo l'istituto eroderà il suo capitale, pur avendo un Cet1 elevato». Un altro indice di salute è poi dato dal rapporto tra i ricavi tipici della banca, per esempio i margini di interesse (la differenza tra quel che guadagna prestando i soldi e quel che paga per prendere soldi a prestito, commissioni e altro ancora) e i costi tipici (della struttura, del personale e così via)..
Se questo rapporto è inferiore a 1 allora c'è qualcosa che non va e dunque meglio tenere le antenne ben alzate.
Il boom che sta vivendo l'industria del risparmio gestito e della consulenza italiane finanziaria conferma l'importanza di trovare alternative efficaci alla discesa di rendimenti dei titoli di Stato e alla crisi del mattone. E la sfida si sposta sempre di più su nuove frontiere, di prodotti e di piattaforme tecnologiche. È la strada che sta percorrendo da tempo lwBank private investments, la banca del gruppo Ubi specializzata nella consulenza e nella pianificazione finanziaria del patrimonio di individui e famiglie.
Oggi è una vera e propria «casa degli investimenti» che vuole essere un punto di riferimento per i clienti nel breve e nel lungo periodo, tramite la sua rete di consulenti finanziari e la sua offerta di servizi bancari e d'investimento. Le fondamenta sono solide, dato che lwBank private investments presenta al 31 dicembre 2015 un total capital ratio al 21,37 per cento e un indice Cet1 al 19,40 (vedi servizio a pag. 14).
«Siamo convinti che il rapporto di fiducia basato sul confronto costante tra consulente finanziario e cliente» sostiene Andrea Pennacchia, direttore generale lwBank private investments, «sia in questa fase e sarà anche in futuro un integrare e arricchire questa relazione». Da un lato la banca con la sua rete di oltre 830 professionisti, è in grado di accompagnare in ogni momento i clienti nella gestione del risparmio, con un'offerta di prodotti ampia e diversificata che permette l'accesso alle migliori soluzioni di investimento disponibili sul mercato, grazie all'offerta di prodotti e servizi di oltre 60 case di gestione tra cui anche Ubi Pramerica, la sgr del gruppo. Dall'altro lato, punta sulle nuove tecnologie: lwBank private investments si è infatti da sempre dedicata alla ricerca continua di creazione di valore aggiunto per i propri clienti, anche attraverso una forte digitalizzazione dei processi banca-cliente, che mette oggi i consulenti finanziari nelle condizioni di ottimizzare il loro lavoro, liberando tempo importante che potrà essere impiegato nello sviluppo della clientela e alla gestione della relazione.
«Dotiamo i nostri consulenti di strumenti tecnologicamente avanzati» spiega Pennacchia. «Come la “firma elettronica avanzata" che semplifica la sottoscrizione dei contratti senza necessità di scambio e invio di documenti cartacei, l'innovativo servizio ordini “web paperless”, che consente ai clienti di disporre in via telematica gli ordini per le operazioni sui fondi e sicav, e il recente “lwMoney", una piattaforma che consente la fruizione del servizio di consulenza a distanza permettendo l'interazione tra cliente e consulente finanziario anche in mobilità».