DA UN ANNO IN OLTRE 60 ISTITUTI MINORI
SI FATICA A LIQUIDARE L’INVES'I'IMENTO.
I'll-MTF DIVENTERÀ IL LORO MERCATO
SECONDARIO REGOLAMENTATO: IN POCHI
MESI DOVREBBERO FORMARSI NUOVI
PREZZI, SI RIPIENE PIU BASSI RISPETTO
AI VALORI FISSATI. CONSULTIQUE: “A BARI
I SOCI RISCHIANO. MA PER CHI COMPRA
E NON HA FRETTA PUO ESSERE UN AFFARE".
Sono quasi seicentomila risparmiatori, molti più di quelli che l'anno scorso pagarono nel salvataggio delle quattro good bank. Anche il loro investimento è un multiplo di quello polverizzato su Banca Marche, Etruria, Carichieti a Cariferara: oltre 16 miliardi di euro di capitale, dieci volte le quattro banche dissestate. Molti vorrebbero vendere, ma non riescono. E' l'esercito dei soci di banche non quotate: ha in tasca titoli illiquidi, scambiati (spesso solo in teoria) nei borsini interni o su mercati secondari.
Ma dalla risoluzione del 22 novembre del 2015 delle quattro good bank tutti vogliono vendere e pochi comprano. Il risultato è che oltre 580mila risparmiatori, molti dei quali soci di banche popolari, si trovano a essere “appesi’ 'al valore nominale di titoli che nessuno vuole più. Una montagna di carta, che al 31 dicembre 2015 veniva valutata complessivamente 16,2 miliardi di euro nei loro bilanci. Valutazioni generose, se comparate a quelle degli istituti quotati: al punto che, quando e se questi investitori riusciranno a liquidare le loro azioni, il prezzo incassato rischia d’essere una brusca approssimazione per difetto.
Chi è messo peggio sono i 207mila azionisti di Popolare di Vicenza e Veneto Banca, costrette a trasformarsi in spa dalla riforma del gennaio 2015 e intanto travolte da pesanti inchieste giudiziarie per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza. Le due grandi malate venete negli anni hanno venduto azioni ai propri soci per 8,5 miliardi di euro complessivi. Soldi che semplicemente non esistono più, dopo un tentativo di vendita in Borsa andato deserto, con fondo Atlante che ha poi dovuto rastrellare a 10 centesimi l'una azioni che nelle campagne di ricapitalizzazione dei due istituti del biennio 2013-2014 venivano vendute a 62,5 euro (a Vicenza) e a 40,75 euro (a Montebelluna). «Le due banche hanno bruciato quasi 8 miliardi di capitalizzazione.
Per i soci di Vicenza e Veneto, l’unica speranza di portare a casa qualcosa sono gli accordi diretti con gli istituti o le cause legali», taglia corto Andrea Cattapan, analista finanziario dell'ufiìcio studi di Consultique, la società di consulenza indipendente che ha elaborato i dati qui pubblicati. Alle due venete va anche la media record di 40mila euro di portafogli azioni medio per risparmiatore. Se il socio vicentino ha in tasca in media 845 titoli della banca, a Montebelluna si sale a 1.423. Dati ovviamente sporcati dalla presenza di grandi soci, che detengono pacchetti nominalmente milionari e oggi ridotti a zero. Di regola, più il rapporto fra prezzo e valore di libro è vicino a 1, o addirittura superiore, più è improbabile che chi ha pacchetti di azioni riesca a venderle. Anche perché gli azionisti delle banche quotate a Piazza Affari dopo anni di ribassi hanno visto il loro prezzo per azione precipitare in media a un terzo del valore contabile.
Uno dei casi di cui più si discute è la Popolare di Bari, dove il rapporto tra prezzo e valore di libro è stato abbassato da 1,38 a 1,08 in primavera, quando l'assemblea nel registrare le perdite del 2015 (297 milioni) ha rettificato il valore dell'azione a 7,50 euro, dai 9,53 precedenti. Ma anche 7,50 euro non sarà facile riaverli, malgrado - in vista dell'assemblea che l' 11 dicembre a Bari voterà sulla trasformazione in SpA — il diritto di recesso per i contrari è stato fissato a 7,50 euro, senza ulteriori svalutazioni e con due perizie esterne di Deloitte e studio Laghi. La forma è salva. Il futuro per i venditori di azioni Popolare Bari, che da 18 mesi faticano a monetizzare l'investimento, resta però incerto. Proprio per togliere le castagne dal fuoco ai soci il management guidato dal condirettore generale Gianluca Iacobini sta mettendo a punto una misura che se prenderà piede potrebbe diventare la piattaforma per rendere più liquidabili le azioni degli istituti non quotati, cercando di metterli al riparo da eccessi speculativi come da chòc di prezzo.
Il sistema dovrebbe incardinarsi sull’infrastruttura di Hi-mtf, piccola azienda che «gestisce un mercato multilaterale di negoziazione» (del genere che Consob ha raccomandato a tutti gli emittenti entro il prossimo semestre per «realizzare più compiutamente la tutela degli investitori»), e oggi controllata da soci bancari come Icbpi, Aletti, Banca Sella, Iccrea. Finora viene usato per negoziare alcuni titoli, tra cui le azioni di Banca Sella; da gennaio, con piccole modifiche cui già lavora da tempo. Dopo un incontro con la Consob a novembre e un passaggio nel CdA di Hi-mtf lunedì scorso, la data della deliberazione si avvicina; quando la nuova piattaforma partirà vi saranno scabiabili le azioni della Bari, ma altre sinestare fenomeni scomposti (come le vendite isteriche o perfino la fuga dei depositi bancari) o speculativi, per cui operatori spregiudicati traggono vantaggio dalla volatilità indotta dalla paura del “parco buoi”.
Sul futuro mercato secondario delle banche non quotate sarà posto un prezzo d’ingresso, e per un periodo definito si potranno fare proposte di vendita e acquisto all'interno di una certa banda di oscillazione (per ipotesi il 10%). Se al termine della fase di osservazione non si saranno formati contratti per volumi significativi, l’emittente dovrà usare bande di oscillazione più ampie nel periodo di osservazione successivo. E così farà per allargamenti progressivi delle bande, finchè non si formeranno volumi rilevanti a un certo prezzo. Lì, al punto d’incontro tra domanda e offerta, nascerà il nuovo prezzo.
«A Bari i soci rischiano - dice Cattapan - ora che la banca è costretta a quotare sul mercato secondario Hi-mtf, il titolo potrebbe rischiare di perdere anche il 50% del valore. È realistico aspettarsi che ci sarà una massa di venditori e pochissimi acquirenti, essendo le azioni sovra prezzate rispetto alle altre azioni quotate».
Una situazione simile a Bari, pur con un rapporto di partenza fra prezzo e valore di libro più realistico, si ha alla Popolare di Puglia e Basilicata, dove da diversi anni vendere è un’impresa. Alla Cassa di Risparmio di Bolzano gli acquisti sono di fatto ridotti a zero già dal 2015. E alla Popolare di Cividale, dove non si riesce a vendere nulla da mesi, gruppi di soci hanno cominciato a rivolgersi ad avvocati nella speranza di avere indietro i loro soldi. Di risposta, la banca ha promesso la creazione di un listino semi regolamentato, con scambi controllati, e la possibilità di 7 fare offerte sul prezzo ottenute entro una banda di oscillazione percentuale, sopra e sotto il valore nominale del titolo.
Qualche mosca bianca, tra le azioni non quotate, c’è. Come la Popolare di Piacenza, dove i valori patrimoniali e reddituali sono più tranquillizzanti. «I livelli di crediti in sofferenza a Piacenza sono bassi e il Cet1 molto elevato, quindi in quel caso un valore di libro vicino a 1 è più che accettabile», dice Cattapan. Oppure la Cassa di Ravenna, che anche 'se si valorizza 1,01 volte il valore di libro, da 25 anni distribuisce cedole o azioni in forma di utile, e non ha problemi a negoziare sulla piattaforma di Banca Imi, dove negli ultimi sei mesi sono avvenute numerose transazioni a una media di 16,76 euro (19,55 euro il valore dell'azione scritto nel bilancio 2015). In altre banche invece i borsini interni sono ancora attivi, ma gli scambi sono molto diminuiti. Alla Cassa di risparmio di Asti, che vanta comunque buoni coefficienti patrimoniali, il mercato settimanale scambia in media fra 5mila e 10mila titoli a seduta, per un controvalore settimanale di 100mila euro. «Dove si già passati a un sistema di scambio su mercati regolamentati (com'è Hi-mtf) si riesce a vendere, ma il prezzo di mercato è decisamente inferiore a quello fissato precedentemente dalle banche». Così alla Banca Valsabbina, ma è solo un esempio, a maggio il CdA aveva fissato il prezzo a 14 euro, già in ribasso dai 18 euro precedenti. Oggi passano di mano a 7 euro, con un minimo a ottobre a 4,6 euro.
Per Cattapan, peraltro, «è possibile che, passata la turbolenza legata al dossier Monte dei Paschi, il mercato per alcune banche non quotate riprenda. E non si esclude che, comprando, si potranno anche fare begli affari».