“Si chiamano unit linked e puntano sui fondi di investimento legati all’altalena dei mercati. Peccato che chi sottoscrive spesso non lo sappia.”
Continuano a riscuotere un grosso successo di mercato, ma il rischio per chi investe è trovarsi di fronte a una brutta sorpresa. Sia sul fronte dei rendimenti che su quello dei costi. Secondo gli ultimi dati di Assoreti (l’associazione delle banche e delle imprese di investimento), le polizze vita unit linked, quelle che puntano quote di fondi di investimento che possono essere azionari o obbligazionari, nei primi nove mesi del 2018 hanno registrato una raccolta netta (cioè la differenza tra nuove sottoscrizioni e riscatti) positiva per 2,56 miliardi di euro.
Risultato che ha superato sensibilmente quello delle polizze vita tradizionali la cui raccolta netta tocca quota 1,94 miliardi di euro. A differenza di queste ultime, che garantiscono un rendimento minimo e investono solitamente in obbligazioni, il rendimento delle unit linked è legato alla performance del fondo. Quindi con un maggior tasso di volatilità. Giuseppe Romano, direttore dell’Ufficio Studi e Ricerca Consultique, sottolinea come la crescita di questo segmento sia dovuta alla forte spinta da parte delle campagne assicuratrici “in quanto le unit linked sono molto più convenienti rispetto alle polizze vita tradizionali: meno onerose da gestire e con un minor assorbimento di capitale non dovendo garantire la restituzione”. Questo è vero per gli assicuratori, che infatti sono felici di promuoverle.
Ma per i consumatori le cose cambiano. “Perché” sottolinea Alessandro Pedone, responsabile Aduc tutela del risparmio, “l’investitore non è quasi mai consapevole di trovarsi di fronte a prodotti ad alto contenuto finanziario travestiti da contratti assicurativi che di assicurativo in realtà non hanno nulla”. E anche i vantaggi per i clienti, ovvero l’impignorabilità e l’insequestrabilità delle somme versate, sono a rischio. “In base ad alcune sentenze recenti queste caratteristiche, tipiche delle polizze vita, non valgono per le unit linked”, spiega ancora Romano.
Da non sottovalutare i costi che si aggirano attorno al 2-3 per cento all’ anno, maggiori rispetto a quelli che si dovrebbero sostenere investendo direttamente in un “normale” fondo di investimento. “Numeri non sostenibili soprattutto se si considera che oggi le obbligazioni hanno rendimenti ai minimi storici”, osserva Romano. Le compagnie assicurative, inoltre, stanno proponendo con maggior frequenza prodotti multi ramo, cioè contengono una parte di polizza tradizionale e una parte di unit linked. Soluzioni anche in questo caso dalle quali girare alla larga, secondo Pedone, per il quale “le gestioni separate hanno avuto un loro senso di esistere, ma mescolate in questo modo non convengono”. Il consiglio è il solito: leggere attentamente la documentazione prima della sottoscrizione.
Continuano a riscuotere un grosso successo di mercato, ma il rischio per chi investe è trovarsi di fronte a una brutta sorpresa. Sia sul fronte dei rendimenti che su quello dei costi. Secondo gli ultimi dati di Assoreti (l’associazione delle banche e delle imprese di investimento), le polizze vita unit linked, quelle che puntano quote di fondi di investimento che possono essere azionari o obbligazionari, nei primi nove mesi del 2018 hanno registrato una raccolta netta (cioè la differenza tra nuove sottoscrizioni e riscatti) positiva per 2,56 miliardi di euro.
Risultato che ha superato sensibilmente quello delle polizze vita tradizionali la cui raccolta netta tocca quota 1,94 miliardi di euro. A differenza di queste ultime, che garantiscono un rendimento minimo e investono solitamente in obbligazioni, il rendimento delle unit linked è legato alla performance del fondo. Quindi con un maggior tasso di volatilità. Giuseppe Romano, direttore dell’Ufficio Studi e Ricerca Consultique, sottolinea come la crescita di questo segmento sia dovuta alla forte spinta da parte delle campagne assicuratrici “in quanto le unit linked sono molto più convenienti rispetto alle polizze vita tradizionali: meno onerose da gestire e con un minor assorbimento di capitale non dovendo garantire la restituzione”. Questo è vero per gli assicuratori, che infatti sono felici di promuoverle.
Ma per i consumatori le cose cambiano. “Perché” sottolinea Alessandro Pedone, responsabile Aduc tutela del risparmio, “l’investitore non è quasi mai consapevole di trovarsi di fronte a prodotti ad alto contenuto finanziario travestiti da contratti assicurativi che di assicurativo in realtà non hanno nulla”. E anche i vantaggi per i clienti, ovvero l’impignorabilità e l’insequestrabilità delle somme versate, sono a rischio. “In base ad alcune sentenze recenti queste caratteristiche, tipiche delle polizze vita, non valgono per le unit linked”, spiega ancora Romano.
Da non sottovalutare i costi che si aggirano attorno al 2-3 per cento all’ anno, maggiori rispetto a quelli che si dovrebbero sostenere investendo direttamente in un “normale” fondo di investimento. “Numeri non sostenibili soprattutto se si considera che oggi le obbligazioni hanno rendimenti ai minimi storici”, osserva Romano. Le compagnie assicurative, inoltre, stanno proponendo con maggior frequenza prodotti multi ramo, cioè contengono una parte di polizza tradizionale e una parte di unit linked. Soluzioni anche in questo caso dalle quali girare alla larga, secondo Pedone, per il quale “le gestioni separate hanno avuto un loro senso di esistere, ma mescolate in questo modo non convengono”. Il consiglio è il solito: leggere attentamente la documentazione prima della sottoscrizione.