Ecco il nostro intervento su Plus24 di sabato 15 luglio 2017
Dal 2012 la Turchia ha subito un rallentamento, fino a registrare una variazione del Pil per il 2016 inferiore al 3%. Le principali difficoltà del Paese sono legate all’indebolimento della domanda interna e dell’export e alle tensioni politiche. Il tasso di disoccupazione è superiore al 10%. La valuta locale non è legata da alcun vincolo, pertanto il tasso di cambio risente delle decisioni delle principali economie. Dall’estate del 2016 la lira turca ha subito una svalutazione pari a circa il 20% rispetto al dollaro, nonostante una ripresa registrata dopo il referendum di aprile 2017, che ha allentato le preoccupazioni sulla stabilità politica del Paese. Il crollo della lira turca ha portato a un aumento dell’inflazione sopra l’11%, rispetto al 5% di target fissato dalle Autorità; valori così elevati tendono a ridurre la ricchezza reale del Paese richiedendo interventi da parte della Banca Centrale. Con l’ultimo rialzo a inizio 2017 il tasso è stato portato al 9,25%.
La curva dei rendimenti dei titoli obbligazionari è piatta e inclinata negativamente, segnale sia della poca fiducia da parte degli investitori sulla crescita della Turchia nei prossimi 10 anni, sia dei timori sulla possibile recessione del paese nel breve periodo; il rendimento a 2 e 10 anni risulta rispettivamente pari a 11,27% e 10,52%. Nonostante la presenza di cedole sicuramente più interessanti rispetto ai tassi offerti dai bond dei paesi sviluppati, il crollo della valuta e il clima di instabilità politica, anche per la guerra in Siria, hanno comportato una fuga di capitali dal Paese. Per chi lo desidera è comunque possibile esporsi sulla Turchia tramite Etf e Fondi o l’acquisto di bond governativi in valuta locale. Ma i rischi sono alti.