La prima a essere intervenuta in tal senso è stata Unicredit, che lo scorso anno ha introdotto sulle giacenze superiori al milione di euro una “tassa” dello 0,50% annuo.
Andrea Cattapan di Consultique Scf: “Si tratta di una soluzione molto forte, perché potrebbe ripercuotersi negativamente sul business delle commissioni, sul risparmio gestito o sulla raccolta indiretta”
We Wealth ha realizzato un’indagine su un campione di 10 banche, scoprendo quali sono gli istituti di credito che hanno introdotto tassi d’interesse negativi sui depositi.
I tassi di interesse negativi applicati dalla Bce sui depositi degli istituti di credito, che negli ultimi anni hanno raggiunto gradualmente la quota dello 0,50%, rappresentano un costo spesso duro da digerire per le banche. Una misura che, nelle intenzioni di Francoforte, avrebbe dovuto “incentivare la ripresa economica, scoraggiando la detenzione di denaro liquido” e spingendo le banche ad assumersi più rischio e a convogliare più credito “verso i consumatori e le imprese”. Eppure, secondo l’analista Andrea Cattapan dell’ufficio studi di Consultique Scf, non è andata proprio così. “Per una serie di motivazioni legate alla debolezza strutturale dell’economia europea, la liquidità è rimasta dov’era, oppure è stata dirottata sui mercati finanziari piuttosto che sull’economia reale”, spiega l’esperto. In questo contesto, inoltre, alcuni istituti hanno cercato di rispondere alla problematica ribaltando sugli investitori finali una parte dei costi sostenuti per il parcheggio della liquidità presso Francoforte. In che modo? We Wealth ha realizzato un’indagine su un campione di 10 banche – Unicredit, Intesa Sanpaolo, Banco Bpm, Credem, Mps, Fineco, Crédit Agricole Italia, Bnl, Ubs e N26 – evidenziando quali, a loro volta, applicano oggi tassi d’interesse negativi sulle somme depositate dalla clientela. Ma non solo. In alcuni casi, l’intervento riguarda anche altre voci di costo.
Stando ai dati raccolti, la prima a essere intervenuta in tal senso è stata Unicredit, che lo scorso anno ha introdotto sulle giacenze superiori al milione di euro una “tassa” dello 0,50% annuo per i nuovi clienti imprenditori a partire dal mese di luglio 2020. Intesa Sanpaolo, invece, ha introdotto una commissione di 33 euro per ogni 100mila euro di giacenza media mensile rilevata per i clienti non consumatori (restano escluse le microimprese) ma che, precisa l’istituto guidato da Carlo Messina, può essere introdotta esclusivamente dopo l’apertura “del conto corrente, previo consenso espresso del cliente e relativa modifica bilaterale del contratto”. Al momento, aggiunge un portavoce, “non risulta applicata ai clienti di Intesa Sanpaolo Banca dei Territori” e, come anticipato, è prevista esclusivamente sul conto corrente ordinario “non consumatori” e non sui conti prodotto a pacchetto. Chiude il cerchio N26, che lo scorso mese ha ribaltato il costo dei tassi negativi della Bce sulla clientela con un tasso dello 0,50% sulle somme depositate che eccedono la soglia dei 50mila euro: sarà applicato sui conti correnti aperti dopo il 19 ottobre. Una misura che riguarda non solo l’Italia ma tutti i paesi in cui l’istituto è presente, escluse la Spagna e il Portogallo. E le altre banche prese in esame? Fineco, Banco Bpm, Credem, Mps, Crédit Agricole Italia e Bnl, affermano di non applicare tale tipologia di prelievi, mentre Ubs non ha inteso rilasciare dichiarazioni in merito.
“Si tratta di una soluzione molto forte, perché potrebbe ripercuotersi negativamente sul business delle commissioni, sul risparmio gestito o sulla raccolta indiretta, dato che i clienti potrebbero decidere di cambiare conto – spiega Cattapan – In realtà lo scenario di tassi negativi introdotto da Jean Pierre Mustier lo scorso anno non si è concretizzato nel panorama italiano, o meglio, si è ribaltato sull’innalzamento dei costi del conto corrente (vedi il caso di Fineco, CheBanca!, Ubi, Bper e Intesa Sanpaolo, anche se talvolta l’aumento è stato giustificato con gli oneri da sostenere per il Fondo interbancario di tutela dei depositi) o delle commissioni degli eseguiti e dei canoni mensili di utilizzo del conto corrente”. Un’altra strada, aggiunge, potrebbe essere quella di “non applicare alcun tipo di prelievo sul conto corrente ma di offrire un prodotto, un fondo monetario o obbligazionario a breve termine, per esempio, anche che rende pochissimo ma che permette al cliente di ottenere un guadagno. Incassando così la commissione di gestione. Alla fine, l’introito è lo stesso ma il risparmiatore non si porrebbe il problema, perché è più facile accettare un investimento a basso rischio o a breve termine che vedere scendere la liquidità per effetto dell’applicazione dei tassi negativi”.
Diverso invece è il contesto europeo dove, secondo l’esperto, diverse banche di alto standing hanno iniziato ad applicare questa tipologia di prelievi “in maniera abbastanza lineare”, soprattutto le svizzere e le lussemburghesi, come Pictet o Credit Suisse, ma anche qualche istituto danese o qualche banca regionale tedesca. “Dato lo standing di questi istituti, casseforti in cui il rischio implicito è minimale, bisogna accollarsi tutto quello che ne deriva. C’è da dire che, se la banca fa attività di consulenza e applica una fee on top, spesso rinuncia alla remunerazione negativa. Piuttosto consiglia un fondo, un etf, la gestione patrimoniale o altri prodotti, che rappresentano un contraltare alla tassazione negativa sul contante”, precisa Cattapan.
Ma quali sono le attese sul futuro e quali clienti devono monitorare la situazione? “In Italia credo che resterà per le persone giuridiche. Le imprese ragionano in una logica di profit & loss, quindi impatta meno rispetto a un investitore che vede erodere i propri risparmi non solo dall’inflazione ma anche dall’effetto economico dei tassi negativi. Al contrario, è molto probabile che si continuerà a barattare la non applicazione con una serie di servizi, la consulenza, la concessione di un fido un po’ più largo rispetto al passato, ci sono tanti modi per scambiarsi gentilezze a vicenda”, conclude Cattapan. Diverso il caso della Svizzera e del Lussemburgo dove, secondo l’esperto, “il tasso negativo può diventare o si confermerà una prassi”. “La Svizzera perché resta un fortino verso il quale ci si dirige se si desidera un’assoluta sicurezza per i propri soldi. Il Lussemburgo perché è l’area economica dove molti fondi d’investimento detengono la base giuridica. E lì, lo abbiamo visto da vicino, il tasso negativo è d’ordinanza, previsto contrattualmente”.
Rita Annunziata