Le elezioni presidenziali di domenica scorsa in Turchia hanno rappresentato uno step aggiuntivo nel trend di accentramento del potere nelle mani del riconfermato Presidente Erdogan. Il controllo del governo si estende già sul potere giudiziario, ma sono evidenti le tentazioni di un controllo più diretto anche delle leve della politica monetaria. In campagna elettorale Erdogan aveva minacciato di aumentare il controllo sulla banca centrale turca, salvo ritrattare dopo la vittoria definendo “fondamentale” l’indipendenza della banca centrale. Un maggiore controllo sulla politica monetaria potrebbe provocare conseguenze, già anticipate dalle tensioni sulla lira turca, sui mercati finanziari e sul sistema economico, in particolare in termini di maggiore inflazione.
La valuta turca da inizio anno si è deprezzata di oltre il 30%-40% rispetto al dollaro e all’euro. Le tensioni istituzionali potrebbero tuttavia danneggiare ulteriormente un’economia instabile. La banca centrale nei giorni antecedenti alle elezioni aveva portato i tassi di interesse al 13,55%. Il motivo è legato alle valutazioni di surriscaldamento dell’economia deducibili dai livelli di inflazione a doppia cifra. Un rialzo dei tassi brusco, osteggiato da Erdogan, tuttavia, potrebbe provocare serie conseguenze nel breve periodo in quanto condurrebbe l’economia turca in uno stadio di stagflazione.
La curva dei rendimenti dei titoli di Stato, inclinata negativamente, dimostra che il mercato si attende una recessione nel breve periodo. La Borsa di Istanbul ha sofferto pesantemente queste tensioni politiche avendo perso quasi il -20% da inizio anno. È possibile esporsi sul mercato turco tramite Etf e fondi, oppure acquistando titoli governativi, sia in valuta locale che in valute forti.