Negli ultimi anni l’importanza della difesa del patrimonio dall’inflazione è stata probabilmente sottovalutata a causa di livelli di crescita dei prezzi stabilmente molto contenuti e, in alcuni casi, anche negativi. La ripresa economica post-pandemica, influenzata ora dai venti di guerra, ha tuttavia fatto ritornare in auge il tema e le modalità con cui è possibile affrontarlo. Secondo Rocco Probo di Consultique in linea generale “la peggiore asset class in uno scenario di inflazione elevata è sicuramente il comparto obbligazionario nominale, specie se a lungo termine. In tale scenario, infatti, l’inflazione attuale e attesa depaupera il valore reale delle cedole future e del rimborso a scadenza. In altre parole, il potere di acquisto delle entrate future garantite dal titolo obbligazionario è inferiore rispetto a quello atteso nel momento dell’investimento. Sui titoli obbligazionari a lungo termine
pesa, inoltre, in tale scenario, l’effetto negativo delle attese di rialzo dei tassi: se l’inflazione è alta, gli operatori economici si attendono un intervento da parte delle banche centrali in termini di rialzo dei tassi, il
che comporta un arretramento dei prezzi delle obbligazioni”. L’intervento della Federal Reserve di metà marzo è, in fondo, solo il primo di una lunga serie di rialzi dei tassi attesi dagli operatori economici e che inevitabilmente condizionerà un generale orientamento di molte altre banche centrali nel mondo. “Il tema del rialzo dei tassi colpisce anche i titoli obbligazionari inflation-linked i cui rimborsi futuri sono protetti dall’inflazione. L’inflazione futura, tuttavia, è già incorporata nei prezzi di mercato dalle aspettative di inflazione quindi gli inflation-linked sarebbero da preferire rispetto ai nominali solo se ci si attende un tasso di inflazione pari a quello già incorporato dalle attese”, aggiunge Consultique.