Il Fmi ha smontato la tesi che lo choc del 2022 abbia trasformato l'inflazione, costringendola su livelli più elevati in modo strutturale.
Nei prossimi tre anni la crescita globale sarà la più bassa dall'inizio degli anni Novanta, ha affermato l'ultimo Outlook del Fondo monetario internazionale. La crescita scenderà dal 3,4 al 2,8% nel 2023, per poi recuperare al 3%. E' un rallentamento deciso rispetto al tasso medio che il Pil ha registrato nel periodo che va dal 2000 al 2019: il 3,8%. E per le economie sviluppate la revisione al ribasso è ancor più netta.
Non si tratta, però, dell'unico messaggio che gli economisti del Fmi hanno lanciato alla comunità internazionale. Il secondo capitolo dell'Outlook, infatti, intende smentire l'ipotesi che la nuova fase inaugurata dalla guerra in Ucraina possa aver modificato in maniera persistente l'inflazione e la storica tendenza verso la compressione dei tassi d'interesse “naturali” (quelli che non contribuiscono né ad espandere né a contrarre l'economia). Il declino demografico e della produttività totale dei fattori sono due fra le principali tendenze, difficilmente ribaltabili, che portano l'inflazione ad essere via via più moderata, in particolare nelle economie sviluppate. La logica conseguenza è che, nel giro di qualche anno, inflazione e tassi d'interesse di riferimento torneranno ai livelli naturali precedenti alla pandemia – con tutta una serie di implicazioni di politica monetaria e fiscale interessanti e possibili conseguenze anche sui prezzi degli asset.“La nostra analisi suggerisce che i recenti aumenti dei tassi di interesse reali saranno probabilmente temporanei”, hanno affermato gli autori del capitolo, “quando l'inflazione tornerà sotto controllo, è probabile che le banche centrali delle economie avanzate allentino la politica monetaria e riportino i tassi di interesse reali verso i livelli pre-pandemici”.
Crescita bassa e tassi in ritirata
“Non vedo un argomento di tipo fondamentale per poter affermare che siamo entrati in nuovo regime di elevata inflazione”, ha dichiarato a We Wealth Francesco Lippi, ordinario di politica monetaria presso la Luiss di Roma. “Sicuramente negli ultimi tre decenni c'è stata una tendenza secolare alla discesa dei tassi d'interesse reali, il rendimento di un asset sicuro come il Treasury Usa è diminuito in modo piuttosto lineare e c'è stata un'ampia discussione sulle cause di questo fenomeno”, ha ricordato il professore. “Gli elementi da considerare sono, ad esempio, la comparsa di giganti come la Cina e la sua abbondanza di risparmio, così come un invecchiamento generale della popolazione che, anche in questo caso, contribuisce a concentrare il risparmio e ad alimentare una domanda che comprime i rendimenti”, ha dichiarato Lippi.
La pandemia e l'impatto della guerra sui prezzi dell'energia hanno deviato parecchio questo tragitto storico e le banche centrali sono state criticate per aver dichiarato, nel 2021, che l'inflazione stesse salendo solo transitoriamente. Eppure, se si allarga l'obiettivo a sufficienza, il Fmi e lo stesso professor Lippi sono dell'avviso che le grandi dinamiche di fondo che guidano l'inflazione e i tassi “naturali” non sono state stravolte. “Si tratta di tendenze che non sono venute meno e quindi penso sia ragionevole attendersi che, nel medio periodo, questi fattori”, come la demografia, l'abbondanza di risparmio e il declino della produttività, “tornino a esercitare la propria influenza in modo evidente”.
In conclusione, “credo che l'elevata inflazione attuale, per il mondo industrializzato, sia un fenomeno temporaneo” in quanto, “non ci troviamo in una situazione simile a quella degli anni Settanta, durante la quale di fronte a uno choc dell'offerta si decise di sostenere ancora di più la domanda, alimentando ulteriormente l'inflazione”.
Sul quanto possano durare fenomeni “transitori” come l'impatto del costo del costo dell'energia in seguito alla guerra è difficile formulare previsioni. “Sul quando l'inflazione tornerà sui livelli cui eravamo abituati nessuno può esprimersi con certezza, se fra due, tre o quattro anni”, ha affermato Lippi, “tenendo conto che è impossibile escludere nuovi choc come un eventuale conflitto fra la Cina e Taiwan”.
Alcuni rincari non sono sinonimo di inflazione
In questo percorso di ritorno alla normalità storica alcuni beni o servizi potranno diventare più cari, ma non è detto questo porti a un'inflazione strutturalmente più alta: nei primi anni dopo l'entrata dell'euro, ha ricordato Lippi, alcuni servizi come sanità e istruzione sono diventati più cari, mentre altri prodotti, come i computer hanno seguito una traiettoria opposta. “Il fatto che alcune voci del paniere su cui viene calcolata l'inflazione in futuro continuino a salire, come potrebbe essere l'energia a causa della transizione verde (anche se ne dubito, avendo fiducia nel progesso tecnologico), non implica che le autorità monetarie non riusciranno a tenere sotto controllo il livello medio dei prezzi”. Alcuni economisti hanno sostenuto che lo stesso declino demografico possa, a un certo punto, portare una scarsità di lavoro che lo renderà necessariamente più caro. Anche qui, però, questo processo può creare inflazione solo se le imprese riescono ad aumentare i prezzi e, contemporaneamente, rimanere competitive: “E' possibile che l'invecchiamento della popolazione possa incrementare la quota dei salari sul Pil, senza che ciò implichi un aumento generalizzato dei prezzi”.
Quantitative easing, è solo un arrivederci?
Per gli investitori uno dei punti più interessanti, riflettendo su queste previsioni, consiste in un possibile ritorno delle politiche ultraespansive, di Quantitative easing. Questi si rendono necessari quando i tassi di partenza sono talmente bassi che, per stimolare la circolazione della moneta e la crescita, la banca centrale ne crea di più comprando titoli sul mercato. “Anche se l'abbassamento dei tassi reali è un fenomeno osservato da molti anni, dal 2008 in avanti le banche centrali hanno dato un loro personale contributo, portandoci a tassi d'interesse eccezionalmente bassi”, ha affermato il professor Lippi, “si tornerà a farvi ricorso in futuro? Siamo nel campo degli auspici: io mi auguro che non si torni a quei livelli, perché avevano dato un contributo al problema dei prezzi sopravvalutati degli asset. Ma non so quanto questa mia speranza si rivelerà una buona previsione”. L'ipotesi di portafoglio, come investire con tassi e crescita calanti“Se l’ipotesi di partenza è quella prospettata dal Fmi una sottoesposizione di azionario e una sovraesposizione del comparto obbligazionario e, in parte, all’oro potrebbe essere la scelta migliore”, ha affermato l'analista finanziario di Consultique Scf, Rocco Probo. “Al di là delle variazioni nelle valutazioni dei multipli delle azioni – che è un fenomeno di breve periodo – i corsi azionari sono guidati dalla crescita degli utili delle società che, se dovessero essere bassi, non fornirebbero spinta ai prezzi delle azioni”, ha proseguito l'analista, “il comparto obbligazionario è invece meno legato alla crescita degli utili, di conseguenza potrebbe avere un vantaggio relativo”.
L'ipotesi di portafoglio, come investire con tassi e crescita calanti
“Se l’ipotesi di partenza è quella prospettata dal Fmi una sottoesposizione di azionario e una sovraesposizione del comparto obbligazionario e, in parte, all’oro potrebbe essere la scelta migliore”, ha affermato l'analista finanziario di Consultique Scf, Rocco Probo. “Al di là delle variazioni nelle valutazioni dei multipli delle azioni – che è un fenomeno di breve periodo – i corsi azionari sono guidati dalla crescita degli utili delle società che, se dovessero essere bassi, non fornirebbero spinta ai prezzi delle azioni”, ha proseguito l'analista, “il comparto obbligazionario è invece meno legato alla crescita degli utili, di conseguenza potrebbe avere un vantaggio relativo”.
L'ipotesi delineata fin qui, quella di un ritorno all'ecosistema dei tassi naturali su livelli più bassi, si inserisce perfettamente su questa strategia di portafogli.
“Il vantaggio relativo dei bond sulle azioni verrebbe poi rafforzato se si accetta anche l’ipotesi del Fmi di un ritorno dei tassi di interesse su livelli pre-covid, valori sensibilmente più bassi rispetto a quelli attuali. In tal caso le duration più lunghe anche su titoli a basso rischio di credito sarebbero la soluzione migliore”, ha affermato Probo, prima di ricordare, come sempre è saggio fare, che nessuna previsione è garantita. “Bisogna però riconoscere che l’incertezza sulle prospettive macroeconomiche è molto elevata e basare la costruzione del portafoglio su un unico scenario potrebbe rappresentare una scelta rischiosa”.
Alberto Battaglia